Nelle proteste che imperversano nel paese da quasi un mese, c’è un elemento che cattura inevitabilmente l’attenzione: la folla è eterogenea e raccoglie gente di tutte le età e di tutte le classi sociali. Tra queste, la classe operaia si riconosce subito: i proletari hanno raggiunto le piazze direttamente dalle fabbriche, nelle loro uniformi da lavoro, facendosi così notare tra gli altri manifestanti. I lavoratori che si oppongono ad Aleksandr Lukašenko e che sono scesi in piazza sin dalla sera delle elezioni presidenziali, sono ora in sciopero e continuano a resistere nonostante intimidazioni e minacce, che sfociano spesso nella violenza più estrema.
Il presidente bielorusso parla agli operai
Lo scorso 17 agosto, in tutta Bielorussia, fabbriche e aziende statali hanno ufficialmente annunciato lo sciopero nazionale. L’obiettivo è quello di indire nuove elezioni e ammettere tutti i candidati alla nuova corsa presidenziale, liberare tutti i prigionieri politici e dimettere coloro che hanno commesso violenze nel paese, ivi compresa la leadership del ministero degli Interni bielorusso e le forze dell’OMON.
Tra le imprese coinvolte nella manifestazione politica ci sono diversi stabilimenti statali di metallurgia e siderurgia che spiccano, tra cui le più grosse industrie del paese: MTZ, MAZ, BELAZ et MZKT (tutti impianti metalmeccanici specializzati nella produzione di automobili e veicoli pesanti), nonché le imprese chimico-siderurgiche Grodno Azot e BMZ. Ed è proprio il famoso stabilimento MZKT, tra i primi a iniziare lo sciopero, che ha ricevuto lo scorso 17 agosto la visita del presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, il quale si è recato – per la prima volta in 26 anni – dagli operai a bordo del suo elicottero.
A giudicare anche dai diversi video pubblicati sui canali Telegram, i lavoratori in sciopero non hanno accolto molto bene l’arrivo di Lukašenko: non appena sceso a terra, accompagnato fedelmente dal figlio in divisa militare (come domenica 23 agosto), il capo di stato ha trovato una folla di operai che gridava “Vattene!”.
“Si sono svolte le elezioni. Fino a quando non mi ucciderete, non ce ne saranno altre“, così Lukašenko ha risposto ai lavoratori in sciopero radunatisi nel cortile della fabbrica, dopo aver minacciato di licenziare tutti; e ha concluso il suo discorso con un: “Grazie, ho detto tutto, ora potete continuare a gridare ‘Vattene!’”. Successivamente, Lukašenko si è recato anche presso una delle sedi automobilistiche MAZ, consigliando questa volta agli operai di “pensare non con un iPhone, ma con il cervello“.
Il primo sciopero dei lavoratori in 26 anni
Secondo il presidente del Congresso bielorusso dei sindacati democratici, Aleksandr Yarošuk, i lavoratori sono minacciati e intimiditi dalle autorità, che non esitano a usare la violenza fisica. Presso le fabbriche MZTK e MTZ, l’OMON ha disperso a suon di manganelli i lavoratori in sciopero, costringendoli anche a licenziarsi: un ex dipendente dello stabilimento automobilistico di Minsk, Semyon Fedotov, ha recentemente riferito ai media che lui e otto colleghi sono stati subito licenziati per aver partecipato alle proteste.
È probabile, quindi, che questa ondata di scioperi diminuisca perché la classe operaia non può permettersi di perdere lavoro e salario, deve sbarcare il lunario in qualche modo. “La gente non osa andare contro le autorità. Non ci è abituata. Sono almeno 25 anni che non indiciamo uno sciopero”, afferma sempre Yarošuk. Eppure molti scioperanti non si arrendono: “Perdere la libertà dell’intero paese ha un costo molto più elevato. I contratti di lavoro possono essere ripristinati”, riferiscono alcuni operai dell’azienda Belaruskali, aggiungendo che capiscono perfettamente a cosa potrebbe portare la partecipazione allo sciopero, ma “non c’è altra via d’uscita“.
Secondo il politologo bielorusso Dmitrij Bolkunets, se tutte le fabbriche si unissero allo sciopero ciò non potrebbe che portare a cambiamenti di potere ai vertici perché “le richieste degli scioperanti sono di natura politica, non economica”. Ma se le grandi imprese chiudono o arrestano temporaneamente la loro produzione, ciò colpirà seriamente le entrate di bilancio e influenzerà l’immagine degli investimenti del paese, con il conseguente rapido crollo dell’economia del paese.
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Immagine: belsat.ue