Nel dicembre del 2005 un gruppo di uomini è intento a distruggere le khachkar – croci di pietra scolpite – di un antico cimitero armeno a Culfa, una cittadina azera sulle sponde dell’Aras, il corso d’acqua che segna il confine tra Azerbaigian e Iran. Le khachkar, una volta estratte dal suolo e frantumate, vengono buttate nel letto del fiume, a pochi metri di distanza. Dal lato iraniano della frontiera un uomo riprende quanto sta avvenendo e quelle immagini sgranate faranno presto il giro del mondo.
Inizialmente, arrivano le condanne internazionali, come quella del parlamento europeo; la distruzione in corso a Culfa non è una novità, ma si tratta dell’ultimo atto di un processo iniziato negli anni novanta. Come spesso accade, però, il tutto passa presto nel dimenticatoio. Nel frattempo a Denver, negli Stati Uniti, Simon Maghakyan viene a sapere di questi fatti da un sito di informazioni russo. L’evento segnerà la sua vita negli anni a venire, dando inizio a una ricerca decennale.
Il Nachicevan
Osservando una cartina politica del Caucaso meridionale, si nota una particolarità, una exclave azera separata dal resto del paese dall’Armenia. Si tratta della Repubblica Autonoma di Nachicevan, il territorio dove si trova Culfa.
Nonostante il suo isolamento, il Nachicevan riveste una importanza particolare per l’Azerbaigian. Nella regione si trovano, infatti, importanti testimonianze della storia azera. Inoltre, è la terra di origine dell’attuale presidente, Ilham Aliyev, e dei suoi due predecessori, il padre Heydar e Abulfaz Elchibey.
Un’altra popolazione storica della zona è quella armena, presente con numeri sempre più ridotti in epoca sovietica, per poi sparire negli anni del conflitto per il controllo del Nagorno-Karabakh. Per effetto della guerra irrisolta con l’Armenia, il Nachicevan è oggi raggiungibile dalla madrepatria solo per via aerea o con un lungo giro attraverso l’Iran.
La fine della convivenza tra armeni e azeri che ha per lungo tempo caratterizzato la regione, ha comportato anche la cancellazione sistematica di tutte le testimonianze architettoniche della storia armena in Nachicevan di cui la distruzione del cimitero di Culfa è solo la punta dell’iceberg.
Una ricerca decennale
Maghakyan, intervistato da East Journal nel corso della stesura di quest’articolo, è un americano di origine armena. La sua famiglia ha lasciato l’Armenia nei primi anni duemila, quando Simon aveva sedici anni. Nel 2005, venendo a sapere di quanto stava avvenendo a Culfa, gli sono affiorati alle mente i racconti del padre che, in epoca sovietica, aveva visitato “il più grande cimitero armeno medievale del mondo” accompagnato da amici azeri.
Da allora si è impegnato per fare in modo che la distruzione del patrimonio architettonico armeno in Nachicevan non passasse sotto silenzio. “Mi disturbava il fatto che l’Armenia non potesse arrestare il processo, il mondo non prestasse attenzione e l’Azerbaigian negasse il tutto” spiega Maghakyan. “La comunità armena è ancora alle prese con il negazionismo turco del genocidio armeno e adesso che stavamo subendo un altro torto, non facevamo niente per contrastare il negazionismo azero”, aggiunge.
Motivato da quello che definisce come un “senso di colpa”, Maghakyan ha lavorato più di dieci anni con l’archeologa Sarah Pickman per documentare in modo accurato la distruzione. Base di confronto della lora analisi, è il lavoro dello storico Argam Ayvazyan che tra il 1964 e il 1987 ha catalogato e fotografato il patrimonio architettonico armeno del Nachicevan.
I risultati delle ricerche di Maghakyan e Pickman sono raccolti in un articolo sul portale Hyperallergic, in cui si parla dell’abbattimento di 89 chiese, 5840 khachkar e 22 mila pietre tombali in tutta la regione. Al di là dei numeri, gli autori hanno raccolto una serie importante di testimonianze fotografiche.
Secondo Maghakyan le immagini sono la parte più importante del suo lavoro, in quanto constituiscono l’elemento che con maggiore facilità può fare breccia sul grande pubblico. Le fotografie si possono visualizzare sull’articolo di Hyperallergic oltre che sulla pagina Facebook Djulfa.com e colpiscono nella loro dura semplicità.
Scatti satellitari prima e dopo la distruzione del cimitero di Culfa, chiese e cattedrali in tutto il Nachicevan al cui posto sono sorte moschee o delle quali è rimasta solo una distesa di terra. Gli esempi sono innumerevoli e piuttosto lampanti. Ciononostante, Nasimi Aghayev, console azero a Los Angeles, interrogato da L.A. Times sul lavoro di Maghakyan lo ha definito come “il prodotto dell’immaginazione dell’Armenia”.
La cancellazione di una storia condivisa
Viste le sue dimensioni, tutto lascia pensare che il governo azero fosse al corrente se non il committente della distruzione, ormai completata, dei monumenti.
Tuttavia, Baku ha sempre respinto qualsiasi accusa. Alcuni, come lo stesso Aghayev, hanno messo in dubbio l’esistenza stessa di un patrimonio architettonico armeno nella regione, accusando, al contempo l’Armenia di aver distrutto moschee e cimiteri islamici sul suo territorio e nelle aree dell’Azerbaigian sotto l’occupazione armena per effetto della guerra del Nagorno-Karabakh. Altri, per esempio Zaur Ibragimli, uno scienziato politico di Culfa, hanno ammesso l’esistenza di cimiteri cristiani nella zona, ascrivendoli però alla civiltà albana del Caucaso, argomentazione sempre gettonata quando in ballo ci sono conflitti territoriali. Infine, c’è chi ha semplicemente negato la presenza di una popolazione armena in Nachicevan. Nel 2006, il governo di Baku ha impedito a una delegazione del parlamento europeo di visitare l’area, cosa che ha, di fatto, chiuso il dibattito internazionale sull’argomento.
Non tutti in Azerbaigian hanno, però, accettato passivamente che la storia armena della regione venisse cancellata. Lo scrittore Akram Aylisli – di cui abbiamo scritto qui – già nel 1997 ha inviato un telegramma all’allora presidente Heydar Aliyev per condannare i danni fatti alle chiese e ai cimiteri di Aylis, il suo villaggio natale in Nachicevan.
Distruggere questi monumenti, significa cancellare secoli di storia condivisa. Durante la guerra in Nagorno-Karabakh, la minoranza azera in Armenia è fuggita in Azerbaigian nel frattempo abbandonato dalla sua comunità armena. Questo ha fatto sì che nei due paesi una generazione sia cresciuta nell’odio reciproco e senza sapere che una vita in una società multietnica, pur con tutti i suoi problemi, era possibile.
Testimoniare dell’esistenza di una comunità armena in Nachicevan non significa mettere in discussione la sovranità azera della regione, modo di pensare piuttosto comune in Armenia. Raccontare questa storia serve, piuttosto, a condannare l’atto barbarico di distruggere un patrimonio storico unico e a ricordare che una coesistenza tra armeni e azeri è stata possibile in passato ed è ancora una realtà in paesi come Georgia e Iran.
Immagine: Djulfa.com