mini-centrali idroelettriche bosnia
Le donne coraggio in difesa del torrente Kruščica

BOSNIA: Stop alle mini-centrali elettriche, una vittoria per l’ambiente

È di pochi giorni fa la decisione della Camera dei rappresentati del parlamento della Federazione di Bosnia Erzegovina, una delle due entità autonome della Bosnia Erzegovina, di proporre il divieto per la costruzione di nuove mini-centrali idroelettriche in tutto il territorio della federazione e di rivedere, per sospenderle, le autorizzazioni in essere o già rilasciate. Il voto, passato a larga maggioranza (65 favorevoli su 98 deputati) assegna al governo della Federazione tre mesi di tempo per analizzare la normativa vigente in tema e predisporre il relativo disegno di legge.

Cosa sono, quali impatti

Le mini-centrali, denominate così poiché generano al massimo 10MW – spesso molto meno – funzionano grossomodo come le centrali idroelettriche tradizionali ma, a differenza di quest’ultime, non prevedono la realizzazione di dighe o invasi artificiali, quanto la canalizzazione, l’intubamento e la diversione delle acque verso l’impianto dove è posizionata la turbina. La conseguenza è una riduzione della portata dei fiumi se non addirittura il loro completo prosciugamento nei periodi più siccitosi, con gravi ripercussioni per flora e fauna e impatti significativi anche sulla morfologia fluviale.

La lotta ambientalista

È per questo motivo che, da anni, la loro costruzione è osteggiata non solo in Bosnia Erzegovina e nei Balcani ma, addirittura, a livello mondiale: la petizione “Salviamo il Cuore Blu d’Europa” promossa da varie sigle ambientaliste un paio d’anni fa per chiedere ai grandi istituti bancari internazionali di tagliare le linee di finanziamento per progetti di mini-centrali collocate in aree protette, aveva raccolto decine di migliaia di firme in tutto il mondo.

Una campagna, quella del “cuore blu”, ancora molto attiva e che il 21 giugno scorso, in occasione della giornata della musica, ha potuto contare sull’appoggio di decine di artisti provenienti da tutti i Balcani – tra i quali la bosniaca Jelena Milušić – che hanno rilasciato delle brevi testimonianze video. Notissima, in Bosnia, era stata la lotta portata avanti dalle hrabre žene, le donne coraggiose, che dopo mesi di presidio erano riuscite a far fermare l’edificazione di due piccole centrali elettriche previste lungo il corso del torrente Kruščica.

Di fatto il pronunciamento del parlamento dell’entità bosniaca recepisce le raccomandazioni contenute in un documento intitolato “Dichiarazione sulla protezione dei fiumi dei Balcani occidentali” redatto lo scorso novembre da alcune associazioni ambientaliste in cui si chiedeva, tra l’altro, una moratoria sulla realizzazione di queste opere e la sospensione dei lavori per quelle in via di costruzione. Nel rapporto, inoltre, si faceva esplicito riferimento alla necessità di predisporre una più approfondita valutazione di impatto ambientale – in linea con la normativa europea – lamentando anche la poca trasparenza con cui le autorizzazioni venivano concesse.

Il piano originale prevedeva lo sviluppo di diverse centinaia di mini-centrali dislocate in tutto il territorio bosniaco: di esse ad oggi ne sono state realizzate solo un centinaio, 108 per la precisione, di cui 65 in Federazione e 43 in Republika Srpska (RS), l’altra entità amministrativa bosniaca. Sarebbero ben 338, invece, quelle in costruzione o pianificate, quasi equamente distribuite tra le due entità. Tra le argomentazioni addotte da chi, dentro e fuori il parlamento, ha condotto questa battaglia, c’è anche la semplice considerazione che, quand’anche il programma fosse completamente implementato, esso contribuirebbe a soddisfare solo il 3% dell’intero fabbisogno nazionale: Un gioco che non vale la candela visti gli “enormi danni ambientali “ che ne deriverebbero, secondo quanto sostenuto da Viktor Bijelić, autore di queste stime e coordinatore del Banja Luka Center for the Environment.

Le reazioni e i timori

Le reazioni alla decisione del parlamento della federazione non si sono fatte attendere e se l’associazione ambientalista Eko Akcija non ha esitato a definire il momento come “storico per la protezione dei fiumi e per l’ambiente in Bosnia” ha altresì evidenziato il timore che essa sia una trovata elettorale in vista della tornata amministrativa del 15 novembre prossimo.

Qualche segnale incoraggiante arriva anche dalla Republika Srpska: in risposta alle forti pressioni della popolazione, l’amministrazione comunale di Pale ha recentemente annullato l’autorizzazione rilasciata dalla giunta precedente per la costruzione di un impianto sul fiume Prača. Stesso esito ha avuto la mobilitazione degli abitanti di Foča che, nell’aprile scorso, è riuscita a fermare la messa in opera di due piccoli impianti previsti sulle acque della Bjelava e Mala Bjelava, ravvisando la violazione della procedura di legge in tema di impatto ambientale. Per tutti questi casi e per altri analoghi che stanno emergendo in tutta la Bosnia, l’associazione ambientalista “Coalizione per la protezione dei fiumi in Bosnia-Erzegovina” ha accusato senza mezzi termini le autorità pubbliche di mancato controllo.

Un problema strutturale

E’ questo un primo piccolo successo per l’ambiente e per le associazioni che da anni si battono per questo obiettivo. Un successo, tuttavia, che rischia di rimanere poco più che simbolico in un paese che stenta ancora ad attingere alle energie rinnovabili per approvvigionarsi dell’energia necessaria. E che risulta, al contrario, ancora strutturalmente vincolato alla produzione delle centrali alimentate a carbone (i due terzi dell’intero fabbisogno), tra le più mefitiche d’Europa, come quella di Tuzla e Ugljevik.

Un problema che si riflette in un inquinamento endemico dell’aria di molte città bosniache, con ricadute pesanti anche sulla salute pubblica. Le speranze arrivano dalla prevista adozione di un piano nazionale energia-clima (tema comune a tutti i paesi dell’area) che dovrebbe indicare tutti gli obiettivi per le energie rinnovabili pianificati entro il 2030. Un piano che prevede, per la sola RS, investimenti per 1,25 miliardi di Euro con la realizzazione di impianti eolici, solari e centrali idroelettriche che garantiranno la produzione di 1000MW.

Foto: Radio Free Europe

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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