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RUSSIA: In scena il referendum sulla Costituzione di Putin

Andrà in scena il 1 di luglio il voto popolare sui cambiamenti costituzionali che daranno alla Russia, de facto, una nuova Costituzione. Tra le altre cose, i cambiamenti azzereranno i mandati presidenziali di Putin, permettendo al presidente russo di correre nuovamente nelle prossime elezioni, previste per il 2024, prolungando così, ipoteticamente, il suo regno fino al 2036. Il voto si sarebbe dovuto svolgere ad aprile, ma l’arrivo del coronavirus aveva sconvolto tutti i piani. Anche se i numeri – ora come ora – lasciano il tempo che trovano, la Russia ad oggi è il terzo paese al mondo per numero di contagi, mentre il dato ufficiale dei decessi (8500) appare ampiamente sottostimato. Il referendum ad ogni modo non ha valore vincolante e le modifiche costituzionali sono state approvate da tutti i parlamenti regionali, in pratica entrando già in vigore.

Un referendum ininfluente

Anche se previsto per mercoledì prossimo, in verità il voto è già iniziato in alcuni territori dell’estremo oriente del paese e in forma telematica nei grandi centri urbani come Mosca e Nižnij Novgorod, grazie ad una serie di procedure particolari volte, ufficialmente, ad evitare assembramenti di massa. Non dovrebbe sorprendere che queste procedure hanno provocato proteste da parte dell’opposizione che ha registrato non solo la poca trasparenza delle procedure online, ma anche brogli e manipolazioni. Un giornalista del canale televisivo Dozhd ad esempio è riuscito a votare due volte, sia fisicamente che online.

Anche se secondo alcuni sondaggi di Levada Center il Cremlino sembra riuscire nello sforzo di mobilizzare la popolazione, con un’affluenza che potrebbe aggirarsi intorno al 65%, il momento della consultazione appare non il migliore per il regime. Le difficoltà economiche che stanno colpendo il paese ed i problemi della politica nella risposta alla pandemia, che hanno messo a nudo tutte le difficoltà di coordinamento tra  Mosca e le province di una federazione diventata negli anni sempre più centralizzata, non hanno certo aiutato a consolidare l’opinione pubblica intorno al presidente in vista della consultazione. Il rating personale di Putin, infatti, è in continuo calo, attestandosi intorno al 59%. E anche se tutt’ora la maggioranza relativa della popolazione sembra approvare i cambiamenti della costituzione (44% favorevoli contro 32% contrari), un quarto della popolazione sembra ora disposto ad unirsi alle proteste contro le autorità.

In un clima di crescente insoddisfazione quindi il Cremlino ha deciso di puntare sul solito patriottismo e su annunci di misure fiscali che si appellano alle fasce più deboli della popolazione. Non è un caso che la parata volta a celebrare la vittoria nella seconda guerra mondiale abbia simbolicamente avviato la mobilitazione generale per la consultazione popolare. Oppure l’annuncio dello stesso Putin di un imminente innalzamento della tassazione sul reddito per la fascia più ricca della popolazione (dal 13 al 15%).

Una nuova configurazione di potere

La più ovvia conseguenza delle modifiche costituzionali è l’estensione del potere personale di Vladimir Putin che sembra rievocare la famosa frase pronunciata dal vice-capo dell’amministrazione presidenziale, Vjačeslav Volodin, “oggi non c’è Russia se non c’è Putin”. Se è vero, però, che la “Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma” – tanto per rimembrare l’abusata frase attribuita a Churchill – la possibile estensione dei mandati presidenziali di Putin non ci aiuta a decifrare tutte le complessità del regime, ma solamente a scrutare la cima di un iceberg. Quello che è in gioco in verità è l’equilibrio di un sistema complesso di pesi e contrappesi, di gruppi di potere di vario livello che vivono in un precario bilanciamento. Un sistema in cui Putin non gioca solo il ruolo di decisore finale, ma anche quello di giudice, di garante e di intermediario. Il paradosso è proprio nel fatto che sotto la superficie di un’apparente stabilità e monolitismo, si nasconde un sistema molto più frammentato, con interessi e visioni differenti.

Se accettiamo questa complessità, infatti, l’azzeramento dei mandati presidenziali potrebbe essere letto non tanto (e non solo) come brama di potere di un dittatore, ma anche come un segnale di flessibilità del regime in preparazione per quello che comunemente è il momento cruciale per i regimi semi-autoritari, il passaggio di potere e la transizione. Il secondo paradosso, infatti, è che se da un punto di vista simbolico l’annessione della Crimea nel 2014 ha per sempre scolpito il nome di Putin nei libri di storia, ha reso gli equilibri interni al regime ancora più precari. Uno scenario eltsiniano, in cui il presidente nomina direttamente il successore, sembra oggi più remoto infatti. La principale delle modifiche costituzionali, così, consolida la posizione di Putin come giudice, mantiene l’incertezza funzionale al mantenimento dell’equilibrio e sposta la questione della transizione più avanti nel tempo, più a ridosso del famoso 2024.

In questa chiave possono essere interpretate anche le altre modifiche alla costituzione, che appaiono in contrapposizione tra loro. Così, da una parte secondo le misure proposte entrambe le camere del parlamento, almeno sulla carta, potrebbero uscirne rafforzate. Dall’altra, il consiglio statale guidato dal presidente, un organo finora puramente formale, potrebbe acquisire nuovi poteri nel tracciare le direttrici principali sia in politica estera che in quella interna, rafforzando la cosiddetta “verticale del potere“.

Sovranità e valori tradizionali

Le altre misure proposte dal pacchetto di riforme della costituzione riguardano aspetti più ampi e non meno contraddittori. Più in generale la nuova costituzione rappresenterà il consolidamento dello spostamento retorico ed ideologico del regime rispetto ai principi liberali che caratterizzano la versione attuale, approvata nel 1993 e redatta su esempio di quella francese e tedesca. Alcuni punti sembrano diretti a consolidare l’idea di ‘sovranità’, un concetto per sua natura ampio e flessibile. Simbolicamente viene data precedenza alle leggi nazionali su quelle internazionali, cosa già evidentemente radicata nella politica del Cremlino che nel 2016 ha ritirato, ad esempio, la propria firma dallo statuto della Corte penale internazionale. Inoltre, la nuova costituzione proibirà ogni azione in favore della separazione del territorio nazionale. Un punto ampio e generale diretto a chiudere sul nascere ogni discussione futura sul ritorno della Crimea sotto la sovranità ucraina, rendendo l’annessione de jure irreversibile.

Altre modifiche toccano direttamente il repertorio ideologico di Putin sotto la triade di “religione, patriottismo e nazionalismo” che, come sottolinea Marlene Laruelle, storica alla George Washington University, se da una parte rafforzano i cosiddetti valori tradizionali, dall’altra in linea con una certa flessibilità ideologica del Cremlino, non costituiscono una vera e proprio dottrina coerente. La loro formulazione, infatti, “rimane evasiva e volutamente ambigua”, come i vari riferimenti ai valori della famiglia, a Dio, al consolidamento dell’educazione patriottica, alla memoria della grande guerra patriottica e della ‘verità storica’ e al russo come “lingua del popolo costitutivo dello stato, parte dell’unione multinazionale di popoli eguali della Federazione Russa”.

Una nuova fase

Al di là della forma che assumerà la nuova costituzione, la sua modifica stessa risulta la vera novità sulla quale ci dovremmo concentrare per capire che Russia si troverà ad affrontare la delicata fase di transizione nel 2024. Al potere da 20 anni, Putin e i suoi avevano sempre respinto ogni idea di modifica alla costituzione del 1993. Il regime infatti ha sempre considerato la costituzione come prima fonte di legittimità, piegandola sì alle proprie esigenze oltrepassandone spesso i limiti, ma mai ripudiandola. Una specie di continua tensione e dualità tra i principi normativi democratici e l’operato del regime amministrativo, paternalistico e tutelare, in teoria garante di tali principi ma in pratica collocato al di fuori, o al di sopra, di essi. Proprio questa tensione, infatti, ha costituito il minimo comune denominatore dello stato russo negli ultimi 20 anni, consolidando la complessità di un sistema che difficilmente può essere catturata su una linea retta, tra autoritarismo e democrazia. Ora quest’equilibrio viene rinnovato, inaugurando una nuova fase del regime di Vladimir Putin, forse con più segni di fragilità che di forza. Per quanto possa sembrare banale, se il regime sia destinato a durare fino al 2036 o meno, non dipende solo da Putin.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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