All’inizio della primavera del 1992, i membri di tre gruppi cult del rock jugoslavo – Ekatarina Velika (EKV), Električni Orgazam e Partibrejkers – ricevettero un insolito appello dall’associazione pacifista Center for Anti-War Action: partecipare alla campagna contro la mobilitazione bellica.
Il nuovo supergruppo prese il nome di Rimtutituki, anagramma in slang šatrovački dello slogan osceno Turim ti kitu. Il singolo Slušaj ‘vamo (Senti un po’ qua), con il famoso ritornello “mir, brate, mir” (Pace, fratello, pace) venne registrato presso il centro culturale studentesco di Belgrado (SKC), lo spazio concesso da Tito agli studenti belgradesi dopo le proteste del ’68, e dove si era formata tutta la scena alternativa della Belgrado degli anni ’80. La canzone venne diffusa sulle onde di Radio B92, con l’intesa che non sarebbe stata messa in vendita. Il verso “Manje pucaj, više tucaj” (spara di meno, scopa di più) rimase nella storia.
L’appeal dei gruppi rock sulla popolazione giovanile non era d’altronde sottovalutato neanche dalle élite politico-economiche jugoslave. Il progetto dei Rimtutituki venne sostenuto nientemeno che da Ivan Stambolić, già presidente della Repubblica socialista jugoslava di Serbia fino al 1987 (poi fatto assassinare da Milošević nel 2000, poco prima della stessa fine del dittatore). La sua Banca jugoslava di cooperazione economica internazionale (Jumbes) finanziò il primo concerto e persino il noleggio del leggendario camion aperto su cui i Rimtutituki si esibirono senza permesso per le strade di Belgrado, distribuendo badge, magliette e volantini contro la guerra ai passanti.
Il secondo concerto, questa volta autorizzato, si tenne nella centralissima Piazza della Repubblica, con il messaggio “S.O.S. mir ili ne računajte na nas” (S.O.S. pace o non contate su di noi), e sempre con il sostegno di Radio B92. Secondo l’allora direttore della radio, Veran Matić, in quel momento c’era “un terribile desiderio di fermare il male.” “Ciò che sentivamo allora, penso, era duplice: da un lato, che fosse possibile fermare la guerra e prevenire la ferocia; dall’altro, che ciò che stavamo facendo non fosse abbastanza.”
Alla cerimonia di premiazione per il gruppo dell’anno, ormai pacifisti comprovati, i membri del gruppo Ekatarina Velika invitarono il pubblico a rendere omaggio alle vittime della guerra con un minuto di silenzio; il frontman Milan Mladenović, sull’orlo delle lacrime, ricordò allora i suoi amici a Zagabria, Sarajevo, Lubiana, Dubrovnik, Rijeka. “Sono vivi ora e potrebbero presto non essere vivi.” I Rimtutituki avevano in programma un’esibizione a Banja Luka ma Mladenović, nato a Zagabria e cresciuto a Sarajevo, la cancellò in segno di protesta per la demolizione della più antica moschea della città, la Ferhadija.
Il singolo Slušaj ‘vamo venne infine distribuito in circa 2.000 copie. Molti anni dopo, allo scopo di realizzare un documentario sugli Ekatarina Velika “Kao da je bilo nekad“, il leader dei Partibrejkers, Zoran Kostić Cane, riferendosi al progetto “Rimtutituki”, affermò: “Siamo stati tra i primi a mostrare loro il dito medio. All’improvviso il peggio è diventato sinonimo del meglio. La gente andava da qualche parte … Sia sul campo di battaglia che all’estero … Non lo so … Pace, fratello, pace, quella era l’unica soluzione per noi in quel momento. “
La canzone non riuscì a fermare la guerra. Lo stesso Mladenović morì per un cancro al pancreas il 5 novembre 1994. Ma i belgradesi non dimenticarono i loro idoli: una decina d’anni fa, raccolsero 10.000 firme per dedicare a Milan Mladenović il piazzale di fronte alla Casa della Gioventù, nel centro di Belgrado. La targa col suo nome venne inaugurata nel 2011 dall’ultimo manager della band, Dušan Ercegovac.
- Canzoni contro la guerra: Slušaj ‘vamo, Rimtutituki
Foto: B92