Il premier di una delle due entità autonome della Bosnia Erzegovina ha passato il weekend agli arresti, implicato in uno scandalo di corruzione legato agli appalti per i respiratori per contrastare il coronavirus. Intanto continuano le controversie politiche.
Lo scandalo respiratori e i frutti di bosco
Nella tarda serata di giovedì 29 maggio Fadil Novalic, il primo ministro della Federazione di Bosnia ed Erzegovina – una delle due entità autonome che compongono il paese balcanico – è stato interrogato dalla polizia di stato, la SIPA, assieme a Fahrudin Solak, capo della protezione civile dell’entità, e Fikret Hodzic, famoso presentatore televisivo e imprenditore incaricato di recuperare 100 respiratori medici dalla Cina. Per i tre, il procuratore di stato ha emesso un ordine di custodia preventiva in carcere per un mese. Ma già domenica la Corte di stato ha deciso per la scarcerazione.
L’azienda di Hodzic, Srebrena Malina, che si occupa di coltivazione di frutti di bosco, ha ricevuto un appalto diretto dalla protezione civile per 5,3 milioni di euro, in deroga alle norme sugli appalti pubblici, e in mancanza di una licenza d’importazione, rilasciata solo a transazione già avvenuta. Oltre al prezzo gonfiato e all’evidente irregolarità dell’appalto, i respiratori importati dalla Cina si sono poi rivelati non adatti all’uso in terapia intensiva. Diverse altre aziende con esperienza nella fornitura di attrezzature mediche avevano dichiarato di poter ottenere macchine efficaci a un costo inferiore.
Anche nell’altra entità bosniaca, la Republika Srpska, qualcosa si muove: dopo le notizie di un interessamento della SIPA, il governo ha rescisso un appalto da 2 milioni di euro per un ospedale da campo, rivelatosi una truffa, procurato grazie ai dubbi rapporti tra un assistente del membro serbo della Presidenza bosniaca, Milorad Dodik, e un miliardario vietnamita.
Le polemiche politiche e le prime proteste di piazza
Lo scandalo, scoppiato già a inizio mese, non ha mancato di scatenare le polemiche politiche nel paese. Il partito di Novalic, il partito nazional-conservatore bosgnacco SDA, ha accusato la procura statale di voler screditare il premier e coinvolgerlo a tutti i costi nello scandalo. Nel mirino dell’SDA è la procuratrice-capo, Gordana Tadic, considerata vicina ai partiti nazional-conservatori croati e serbi, HDZ e SNSD.
Novalic, premier della Federazione dal 2014, era ancora in carica ad interim, poiché i dissidi tra SDA e HDZ non avevano permesso l’entrata in carico di un nuovo governo tra i due partiti nell’entità. Proprio l’HDZ croato potrebbe uscire rafforzato dallo scandalo: con Novalic fuori gioco, la guida del governo della Federazione andrebbe nelle mani della sua vice, Jelka Milicevic, dell’HDZ. Il fatto che Milicevic non sia stata indagata, nonostante sia stata lei a controfirmare gli atti della protezione civile, non ha fatto altro che aggiungere sospetti circa il carattere politico dell’azione giudiziaria.
Intanto, i cittadini iniziano a scendere in piazza: una prima manifestazione sabato 30 maggio ha portato in strada qualche migliaio di persone a Sarajevo in protesta contro la corruzione e il nazionalismo. I partiti dell’opposizione hanno annunciato un'”estate calda” in tutto il paese, in vista delle elezioni locali in autunno: “la crisi ha mostrato il sistema per quello che è: un’organizzazione criminale volta a derubare fondi pubblici nel modo più brutale”, ha affermato Predrag Kojovic di Nasa Stranka.
La situazione politica in Bosnia Erzegovina resta tesa
Il clima all’interno della coalizione di governo in Bosnia Erzegovina si fa sempre più teso. Tra febbraio e maggio, inoltre, l’SDA si è allineato con i partiti dell’opposizione serba, SDS e PDP, per rimpiazzare alcuni membri della Commissione elettorale centrale considerati vicini a SNSD e HDZ. Uno sgambetto che ha avvelenato i rapporti tra alleati.
Nonostante i continui strali di Dodik contro la corte costituzionale per le sue sentenze sulle proprietà statali, e le insistenti richieste dell’HDZ per una revisione delle leggi elettorali, la crisi del coronavirus aveva riportato una certa cooperazione e coordinamento tra i vari livelli di governo (la Bosnia ha contato circa 200 morti finora). Il rilassamento progressivo delle misure di contenimento della pandemia sembra ora riportare anche i nodi politici al pettine, anche in vista delle elezioni locali che si dovrebbero tenere in autunno – virus e budget permettendo.
Elezioni locali rinviate. E a Mostar?
Il 23 maggio la Commissione elettorale centrale ha annunciato un primo rinvio delle elezioni municipali, dal 4 ottobre al 15 novembre, per mancanza di fondi: la Bosnia Erzegovina non ha infatti ancora adottato un bilancio per il 2020, e le istituzioni statali procedono con finanziamenti trimestrali provvisori. Un accordo sul bilancio è previsto per inizio giugno, ma la questione resta politica.
Anche la risoluzione della crisi politica a Mostar, dove non si tengono elezioni per il consiglio comunale dal lontano 2008, resta incerta. Nel novembre 2019, nel caso Baralija, la Corte europea dei diritti umani aveva riconosciuto la mancanza di libere elezioni come violazione dei diritti umani e del principio di non-discriminazione nei diritti politici all’interno del paese. I colloqui tra SDA e HDZ per arrivare a una emendamento consensuale della legge elettorale per permettere le elezioni a Mostar continuano, e le parti sembrano vicine ad una soluzione. Laddove i negoziati dovessero di nuovo fallire, la Corte di Strasburgo aveva notato che la Corte costituzionale bosniaca ha il potere di imporre soluzioni ad interim per permettere a tutti i mostarini, croati o bosgnacchi, di poter finalmente eleggere un nuovo consiglio comunale.
Intanto è passato senza grande clamore il primo anniversario dell’opinione della Commissione europea sulla domanda d’adesione della Bosnia Erzegovina all’UE. Sulle 14 priorità-chiave identificate da Bruxelles – tra cui le elezioni a Mostar – negli scorsi 12 mesi le istituzioni bosniache non hanno fatto alcun concreto passo avanti.
Foto: Arhiva/Ilustracija, Dnevnik.ba