José Cutileiro è morto. Diplomatico portoghese con varia esperienza in organizzazioni multilaterali negli anni ’80 e ’90, se n’è andato a 85 anni dopo una discreta carriera in cui, tra una cosa e l’altra, era riuscito anche a pubblicare dei racconti, incentrati su un bizzarro aristocratico inglese e sua madre filofascista nel Portogallo da poco democratico, apparsi sul quotidiano britannico The Independent e poi pubblicati nel 2004 nel volume Bilhetes de Colares.
Ma più che per la sua opera letteraria, Cutileiro resterà ricordato per il suo ruolo nella guerra in Bosnia. Nel 1992 Cutileiro si ritrova coordinatore per le Comunità europee alla Conferenza sulla Jugoslavia, il tavolo diplomatico messo in piedi dall’Onu per cercare di gestire il conflitto.
Assieme all’ex segretario generale Nato, l’inglese Lord Carrington, Cutileiro è l’autore del primo piano di spartizione su base etnica della Bosnia Erzegovina. Il piano Carrington-Cutileiro, o “accordo di Lisbona” del febbraio 1992, prevede la devoluzione del potere nello stato bosniaco alle comunità locali. Tuttavia, a tale scopo tutti i distretti della Bosnia Erzegovina sarebbero stati classificati come bosgnacchi, serbi o croati, anche dove non vi era una maggioranza etnica evidente.
Come ricorda lo storico Alex Cruikshank, autore del podcast The history of Yugoslavia ed esperto di storia diplomatica del conflitto bosniaco, “Carrington e Cutileiro furono responsabili di legittimare la visione nazionalista ed orientalista della Bosnia esclusivamente come uno spazio da dividere in senso etnico su una base tripartita, che sarebbe rimasta una palla al piede del processo di pace in Bosnia per i successivi tre anni. Nessuno dei due aveva familiarità con la regione; entrambi scelsero di ignorare i consigli degli esperti, così come le proteste degli attori politici bosniaci che si opponevano alla spartizione.”
Il piano non andò lontano. Il 1° marzo i cittadini bosniaci votarono per l’indipendenza (nonostante il boicottaggio dei partiti nazionalisti serbi), dichiarata ufficialmente il 3 marzo. L’11 marzo l’autoconvocata assemblea dei serbi di Bosnia respinse il piano di pace, presentando una propria mappa che rivendicava quasi i due terzi del territorio della Bosnia, con una serie di città divise etnicamente, con enclavi isolate, e lasciando a croati e bosniaci solo una striscia di terra sconnessa nel centro della repubblica. Tale piano fu respinto da Cutileiro. Tuttavia egli presentò una bozza rivista dell’originale, in cui si affermava che le tre unità costitutive sarebbero state “basate su principi nazionali e tenendo conto di criteri economici, geografici e di altro tipo”
Il 18 marzo 1992, tutte e tre le parti firmarono l’accordo: Alija Izetbegović per i bosgnacchi (i bosniaci musulmani), Radovan Karadžić per i serbo-bosniaci e Mate Boban per i croato-bosniaci. Ma il 28 marzo, dopo un incontro con l’ambasciatore americano in Jugoslavia Warren Zimmermann a Sarajevo, Izetbegović ritirò la firma e dichiarò la sua opposizione a qualsiasi divisione della Bosnia. Cosa si dissero i due durante l’incontro non è dato sapere. Zimmermann nega di aver promesso a Izetbegović il riconoscimento della Bosnia come stato indipendente se se avesse ritirato la firma.
Come ricorda Cruikshank, “Cutileiro ritornò all’infinito sul rifiuto di Izetbegović alla sua proposta di partizione della fine di marzo 1992 – ma menziona raramente che il governo della Repubblica di Bosnia Erzegovina aveva negoziato con successo una versione meno partizionista del testo solo qualche settimana prima, che era stata respinta da Karadžić (ma non dai croati dell’HDZ). Carrington e Cutileiro non lo menzionarono mai perché ciò rovinava la loro narrativa che rendeva responsabile della guerra il rifiuto del governo bosniaco di una partizione etnica, piuttosto che la determinazione di Karadžić e Boban di arrivare alla partizione etnica attraverso la violenza.”
Quello di Carrington e Cutileiro fu il primo di una serie di piani di pace basati sulla spartizione etnica che si susseguirono per tutti i quattro anni della guerra in Bosnia – il piano Vance-Owen, il piano Owen-Stoltenberg, il piano del Gruppo di Contatto, fino agli accordi di Dayton del novembre 1995.
Mladen Klemenčić già nel 1994 aveva raccolto molteplici mappe, prodotte dai vari attori del conflitto, per illustrare a negoziatori e decisori occidentali le proprie rivendicazioni e proposte. Una guerra per mappe, in cui i diplomatici occidentali come Carrington e Cutileiro si inseriscono prendendo sul serio la pregiudiziale etnica delle forze politiche e militari nazionaliste in campo. La corrispondenza tra etnia e territorio, che era tra gli obiettivi di questi, fu adottata da Cutileiro come unica chiave per comprendere il conflitto, e non lasciò alcuno spiraglio a visioni alternative, che pure esistevano.
Come scrive David Campbell in Apartheid diplomacy, la dipendenza dei negoziatori internazionali “da una potente serie di presupporti su identità, territorialità e politica – una particolare antropologia politica – ha fatto sì che la divisione etnica di una società complessa ed eterogenea diventasse il risultato congiunto degli sforzi della comunità internazionale.” Tale logica “simile all’apartheid”, secondo Campbell, “ha scavalcato tutte le opzioni non nazionaliste e legittimato progetti esclusivisti durante la guerra”. Di tale logica, che torna oggi nelle discussioni sulla spartizione etnica del nord del Kosovo, Cutileiro è stato solo il primo alfiere.
Foto: Observador