Lunghe code agli sportelli della Latvijas Kraibanka, una delle più importanti banche del piccolo paese baltico. Piccolo già, ma destinato a entrare nell’euro dal 2014. A seguito della scoperta di un vuoto di cassa di circa 100 milioni di lats (circa 130 milioni di euro) il governo lettone ha sospeso le attività della banca, ne ha sciolto il consiglio di amministrazione e la gestione della banca è stata affidata a dei commissari governativi che hanno deciso di consentire il ritiro al bancomat di un massimale pari a 75 euro pro-capite al giorno, cifra considerata sufficiente per sopravvivere. Sopravvivere è la parola chiave. Le lunghe code agli sportelli, dunque, sono inutili: che si abbiamo sul proprio conto 200 euro e 200 mila poco cambia. Almeno nell’immediato. Il crac della Latvijas Kraibanka non è senza conseguenze: il Tesoro ha in fretta e furia cancellato un’asta di titoli di Stato decennali e guarda con ansia alla prossima (imminente) finanziaria e al giudizio delle agenzie di rating sul debito. Si teme per la tenuta del sistema, non solo lettone.
Il crac della lettone Latvijas Kraibanka si collega a quello della Snoras Bank, istituto di credito lituano, che il 16 novembre scorso è stato nazionalizzato dal governo di Vilnius a seguito della scoperta di un ammanco di circa 1 miliardo di litas (280 milioni di euro). La Snoras, di cui la Latvijas Kraibanka è una controllata, è stata presa anch’essa d’assalto dai correntisti terrorizzati ma anche in questo caso l’attività di Snoras è stata sospesa e i soldi congelati.
Il governo lettone ha già dichiarato che spetta alla Lituania decidere la sorte delle due banche, dato che la Snoras è di fatto proprietaria della Krājbanka. Se il governo lituano decidesse di provare a salvare dal fallimento la Snoras, anche il governo lettone potrebbe agire di conseguenza, ma è più probabile che vengano entrambe messe in liquidazione. Se le cose andranno in questo modo, Krājbanka sarà la seconda banca a fallire in Lettonia dopo la Parex Banca, crollata durante la crisi economica del 2008.
La domanda è: come è stato possibile un doppio crac di banche comunque importanti per la stabilità finanziaria di due membri dell’Unione, prossimi candidati all’euromoneta? La responsabilità pare essere di Vladimir Antonov, imprenditore russo dai torbidi trascorsi, detentore del 68% delle quote della Snoras Bank. Gli ammanchi nelle casse sarebbero dunque serviti ad Antonov per finanziare altre imprese, come la scalata della svedese Saab. Che Antonov non fosse uno stinco di santo si sa almeno dal 2009 quando la UK Financial Services Authority (l’autorità di vigilanza sulle banche britanniche) negò l’autorizzazione alle attività della banca Snoras in Regno Unito, proprio a causa della scarsa affidabilità di Antonov. L’imprenditore russo, come molti connazionali, era però fortemente attratto dal Regno di Sua Maestà la Regina, tanto da comprare una squadra di calcio, il Portsmouth, come cavallo di Troia per entrare nel mondo degli affari britannico. E’ stato arrestato il 24 novembre scorso a Londra con l’accusa di appropriazione indebita, di lui però non si sa molto. E’ il 182° uomo più ricco di Russia con un patrimonio personale stimato intorno ai 300 milioni di dollari. Un pesce piccolo tra gli oligarchi che ruotano attorno al Cremlino, ma comunque famelico.
Il crac di Snoras e della sua controllata lettone hanno infatti origine qualche anno fa quando Antonov spostò i 500 milioni di dollari di liquidità della Snoras in conti esteri. Ha poi mascherato la frode con una serie di prestiti a società di facciata. Per le operazioni bancarie in corso Snoras ha utilizzato esclusivamente denaro proveniente dai depositi di persone fisiche e giuridiche della Lituania e Lettonia mentre il resto del contante giaceva (e giace) in società off-shore all’isola di Man.
Il crollo del sistema finanziario baltico, che potrebbe derivare da questo scandalo, rischia di incidere negativamente sulla già precaria situazione europea. Mentre l’euromoneta è sempre più oggetto di attacchi speculativi e l’Unione Europea rischia di disfarsi da un momento all’altro, ecco che questo regalino made in Russia complica di parecchio la vita alla vecchia Europa.
Innanzi tutto, la capitale della Lituania è Vilnius (almeno credo proprio intendessi questo, parlando di nazionalizzazione) e non Tallin – che tra l’altro si scrive con due “n”.
E poi scusami tanto Matteo, se parli di “regalino made in Russia” pare quasi che ci sia una macchinazione ad hoc ordita in qualche palazzo di potere russo ai danni dei lettoni, quando invece questo Vladimir Antonov (che mi pare un pesce piccolo) è un personaggio che fa obiettivamente sorridere. Del resto il capitalismo in Russia l’abbiamo auspicato e voluto anche noi.
Se poi la mettiamo su questo piano, mi sa che molti altri popoli (in primis noi) riceveranno “regalini” da altri…
Anzitutto grazie per avermi segnalato la terribile svista, degna di un turista della domenica. In secondo luogo, hai ragione: ho voluto suggerire che dietro le vicende finanziarie baltiche ci sia la longa manus del Cremlino. Bada, non lo credo davvero, non in questi termini almeno. Quello che credo è che la Russia possa giovarsi della debolezza europea e forse non a caso Putin sta rilanciando in queste settimane il progetto euroasiatico, l’Unione doganale, e la proposta di uno spazio di libero scambio eurusso. Nulla più di questo, però. Il resto sono suggestioni che ho voluto raccogliere nelle parole “regalino made in Russia”. Non penso a macchinazioni, piuttosto a un’humus favorevole, in terra di Russia, allo sviluppo di piccoli o grandi pescecani finanziari più o meno legati al Cremlino capaci di operare per interessi propri e al contempo “nazionali”. Fai bene a riprendermi su queste cose, è assai poco “giornalistico”. Mi piace però, quando posso, abbandonarmi a qualche leggerezza effettivamente poco sobria.
Matteo