di Desirèe di Marco
In Turchia, la legge svuotacarceri adottata a seguito della diffusione del coronavirus esclude dal provvedimento le centinaia di giornalisti, attivisti per i diritti umani, filantropi e avvocati in carcere ormai da anni con accuse di terrorismo e diffusione di informazioni false.
Il provvedimento
Il 14 aprile il Parlamento turco, con il voto favorevole del partito Giustizia e Sviluppo (AKP) del presidente Erdogan e del Movimento Nazionalista (MHP) ha adottato un provvedimento che permette il rilascio di tutti quei detenuti che abbiano scontato anche solo metà della pena, e non due terzi come previsto fino ad allora.
I detenuti coinvolti dall’amnistia sono circa novantamila, dai quali però restano esclusi gli over 65, quelli affetti da patologie, le detenute con figli di età superiore ai 6 anni e centinaia di giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani, scrittori, oppositori politici, filantropi e artisti che da anni si battono dal carcere per la difesa dei diritti umani, della libertà di stampa e per i principi democratici.
La situazione dei giornalisti
Nonostante le ripetute sentenze della Corte europea dei diritti umani che condannano queste detenzioni, numerosi attivisti e filantropi continuano a rimanere in carcere, come nel caso di Osman Kavala accusato di aver tentato di rovesciare il governo nel 2013 e di essere stato il mandante del tentato golpe del 2016.
Dal fallito colpo di stato del 15 luglio 2016 il governo turco – tramite pratiche illegali come lunghe detenzioni preventive o arresti lampo, violando sistematicamente il principio fondamentale della presunzione di innocenza – ha arrestato 152 giornalisti, revocato il tesserino ad altrettanti 800 e ha chiuso 173 agenzie di stampa.
I giornalisti che vengono arrestati sono accusati di far parte di organizzazioni terroristiche o di denigrare le istituzioni dello stato. Anche “insultare Erdogan” è diventato, dal 2019, un atto punibile penalmente. E Wikipedia è di nuovo consultabile solo da inizio 2020, dopo tre anni di oscuramento per aver rifiutato di piegarsi alle direttive del governo sull’informazione. Il noto indice delle libertà politiche e civili di Freedom House per il 2020 ha confermato la Turchia in zona rossa, come “paese non libero“.
Coronavirus e “fake news”
L’avvento della pandemia ha aggiunto un ulteriore livello alla repressione della libertà di stampa. Con la diffusione del coronavirus i giornalisti, gli attivisti, gli esponenti della cultura vengono accusati di alimentare “fake news”, in contrasto con i dati e con le notizie ufficiali rilasciate dal governo. Le autorità turche oggi paragonano l’informazione e le idee libere a un nuovo virus, la cui circolazione potrebbe mettere a rischio l’intero sistema.
In questo contesto, sono sette i giornalisti arrestati nelle scorse settimane con l’accusa di avere “diffuso il panico” tra la popolazione riportando notizie false sulla pandemia, mentre 380 persone sono state indagate per la pubblicazione, su social media, di contenuti critici sulla risposta al virus.
Alcuni esponenti del mondo della cultura sono anche andati incontro alla morte per protestare contro le misure repressive del governo. I tre musicisti della band Grup Yorum, punto di riferimento della sinistra rivoluzionaria turca, Mustafa Kocak, Helin Bolek e Ibrahim Gokcek, sono morti uno dopo l’altro nelle scorse settimane a seguito di uno sciopero della fame.
Secondo il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, i problemi sanitari globali richiedono misure efficaci per proteggere vite umane e la lotta alla disinformazione non dovrebbe essere usata come pretesto per introdurre restrizioni alla libertà di stampa. E’ proprio in tempi di crisi infatti, che i cittadini necessitano, più che mai di una stampa libera e della forza delle idee.
Foto: AFP