di Maria Savigni
Dopo la condanna di un mese fa in tema di richiedenti asilo, il conflitto tra Varsavia e Bruxelles non sembra destinato ad arrestarsi. Il 29 aprile, infatti, è stata aperta una procedura di infrazione nei confronti della Polonia per la nuova riforma della giustizia, accusata di minare l’indipendenza della magistratura e lo Stato di diritto.
La riforma
La riforma, promossa dal partito di governo, Diritto e Giustizia (PiS), è stata approvata dal parlamento lo scorso dicembre ed è entrata in vigore il 14 febbraio. La normativa introduce modifiche sostanziali in tema di responsabilità disciplinare della magistratura, ufficialmente allo scopo di prevenire “abusi di potere” da parte dei giudici.
Già in fase di discussione parlamentare l’iniziativa ha scatenato proteste sia da parte della società civile che dagli stessi giudici. Nel mirino, la malcelata volontà del PiS di voler introdurre una forma di controllo politico sull’operato della magistratura.
Le violazioni
La risposta di Bruxelles alla riforma del sistema giudiziario non si è fatta attendere. A fine aprile è stato comunicato al governo polacco l’avvio della procedura di infrazione per gravi violazioni dello Stato di diritto. Ciò poiché i giudici polacchi, nella propria veste giurisdizionale, sono anche responsabili dell’interpretazione e applicazione diretta del diritto europeo. La questione della giustizia polacca, in altre parole, è anche una questione europea.
Nello specifico, la Commissione denuncia l’ampliamento della nozione di illecito disciplinare, in grado di includere un numero elevato di decisioni giurisprudenziali e diventare una ‘spada di Damocle’ nei confronti del potere giudiziario. Tra i casi di illecito, infatti, è compresa la stessa contestazione delle riforme giudiziarie da parte della magistratura. Tra le sanzioni è prevista la sospensione e anche la decadenza dal ruolo di giudice.
In secondo luogo, la legge attribuisce in via esclusiva la competenza in tema di indipendenza della magistratura a una nuova Camera di controllo straordinario della Corte Suprema. La riforma finisce dunque per sottrarre alle Corti polacche la possibilità di applicare il diritto europeo, sia direttamente sia attraverso il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Questa previsione è incompatibile sia con i principi dello Stato di diritto sia con il primato del diritto europeo su quello nazionale.
Infine, la nuova disciplina impone ai giudici di trasmettere al governo alcune informazioni specifiche sulle proprie attività extra-professionali, una previsione inconciliabile con la disciplina europea in materia di privacy e rispetto della vita personale.
Gli scenari
Il governo polacco ha ora due mesi di tempo per inviare una risposta formale alla Commissione europea, dopodiché la Commissione potrà inoltrare un nuovo richiamo. Nel caso in cui gli avvertimenti comunitari non producano risultati, l’esecutivo comunitario potrà portare la questione alla Corte di Giustizia.
Le dichiarazioni di Věra Jourová, commissaria europea alla giustizia, preannunciano l’intenzione di proseguire con la procedura di infrazione nel caso in cui il governo di Varsavia non ritiri o modifichi in modo incisivo la riforma. La Corte di Giustizia si era già pronunciata su una modifica della composizione dei giudici della Corte Suprema, costringendo il PiS a ritirare la precedente riforma. L’attacco politico alla Corte Suprema nazionale è continuato negli anni e a fine aprile ha avuto il suo successo, con la resa della presidente Małgorzata Gersdorf, da tempo nel mirino delle invettive del PiS.
Le precedenti censure dell’Unione non hanno frenato il processo di smantellamento dello Stato di diritto avviato dal PiS, abile nel serrare i ranghi nel momento dello scontro. Il ministro della Giustizia ha sottolineato come l’Unione Europea voglia imporre a tutti i costi la propria visione, aggiungendo che “se apriamo la porta sulla riforma giudiziaria, ci imporranno il matrimonio omosessuale”.
Nel caso si arrivi a un punto di non ritorno, la Commissione europea potrebbe decidere di ricorrere alla procedura secondo l’articolo 7 dei trattati UE, prevista in caso di “violazione grave e persistente dei principi sui quali poggia l’Unione”. Tale procedura permetterebbe di arrivare fino alla sospensione dei diritti di voto della Polonia nelle istituzioni europee tra cui vi è lo Stato di diritto. Tuttavia, è necessario il voto all’unanimità del Consiglio europeo, uno scenario difficile da ipotizzare che necessiterebbe dell’improbabile voto favorevole dell’Ungheria, solido alleato di Varsavia – ed essa stessa oggetto di una procedura secondo l’articolo 7 sin dal 2015.
In uno scenario ancora più estremo, la Commissione potrebbe chiedere una pronuncia del Consiglio europeo nei confronti di Polonia e Ungheria, congiuntamente. Si tratta, naturalmente, di un’ipotesi ben lontana, dato che la procedura di infrazione è ancora nella fase iniziale. Il tramonto di una democrazia, invece, può avvenire molto più rapidamente.
Foto: emerging-europe.com