Martedì 5 maggio si è risolto in favore di Laura Codruta Kovesi il contenzioso con le istituzioni di Bucarest presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La sentenza ha riconosciuto illegittima la sua rimozione dalla carica di procuratore capo della Direzione Nazionale Anticorruzione (DNA) e il mancato rispetto di alcuni diritti fondamentali.
Innanzitutto le sarebbe stato negato il diritto ad un giusto processo, in quanto non avrebbe avuto la possibilità di contestare l’azione di licenziamento nei tribunali del paese. La Corte Costituzionale della Romania (CCR), infatti, avrebbe esaminato solamente “gli aspetti formali del decreto presidenziale con cui si confermava la rimozione, e non l’argomentazione sostanziale secondo cui lei [Kovesi] era stata impropriamente rimossa per aver criticato gli emendamenti alle leggi contro la corruzione”.
La seconda violazione riguarda il diritto di libertà di espressione: la sua destituzione sarebbe stata decisa in seguito ad alcune sue critiche pubbliche contro una serie di riforme legislative avviate dall’esecutivo di allora.
Continua il verdetto: “È sembrato che la sua rimozione prematura abbia intralciato lo scopo stesso di mantenere l’indipendenza giudiziaria, e che abbia avuto un effetto dissuasivo su di lei e gli altri procuratori e giudici nel partecipare al dibattito pubblico sulle riforme legislative che incidono sul sistema giudiziario e l’indipendenza della magistratura”.
Una lunga storia
È il 2018 quando Laura Kovesi, attualmente a capo della Procura Europea (l’agenzia istituita per indagare e perseguire frodi contro il bilancio dell’Unione e altri reati contro gli interessi finanziari dell’UE), viene rimossa anticipatamente dall’incarico che ricopriva dal 2013 come procuratore capo della DNA.
Da anni imperversava un aspro scontro fra il partito social-democratico (PSD), all’epoca al governo, e la magistratura.
Sotto il mandato di Kovesi era stato dato inizio ad una lotta senza precedenti alla corruzione, e proprio il PSD e la sua classe dirigente erano stati i più duramente colpiti dal ‘nuovo corso’. Il caso più noto ed emblematico riguarda Liviu Dragnea, storico leader del partito, condannato nel 2019 in via definitiva per abuso d’ufficio.
Al governo da dicembre 2016, i socialdemocratici avevano provato a varare una serie di riforme del sistema giudiziario e penale con controversi tentativi di modificare le leggi anticorruzione. Ciò aveva dato origine a serie preoccupazioni da parte della magistratura, nonché dalla Commissione Europea, e a proteste nelle strade di tutta la Romania. Anche Kovesi aveva criticato duramente il governo e i cambiamenti che voleva imporre, affermando che avrebbero potuto compromettere l’integrità e indipendenza del sistema giudiziario.
A seguito di queste dichiarazioni, il ministro della giustizia di allora, Tudorel Toader, aveva avviato la procedura per il suo licenziamento, motivando la rimozione sia sulla base del danno d’immagine subito dalla Romania a livello internazionale, che per l’utilizzo autoritario e improprio della sua carica nella DNA. La decisione finale era poi passata alla Corte costituzionale, che aveva confermato la revoca avviata da Toader. Il presidente della repubblica Klaus Iohannis, dopo iniziali rifiuti, era stato costretto a confermare la destituzione di Kovesi, onde evitare un conflitto costituzionale e interistituzionale fra presidenza ed esecutivo.
Le opinioni
La sentenza della CEDU ha dato il via ad una serie di commenti da parte di diversi personaggi pubblici e non sono mancate polemiche e accuse a livello politico.
Il presidente Iohannis ha dichiarato che il giudizio su Kovesi non può passare inosservato, e che dunque la Corte costituzionale dovrebbe riesaminare immediatamente la decisione di licenziamento. “La credibilità della CCR (Curte Constituționala a României) è fortemente scossa da decisioni così controverse”, motivo per cui è necessario “riformare la Suprema Corte”.
Concordi con l’urgenza di una ristrutturazione istituzionale sono anche il giornalista Cristian Tudor Popescu, l’Associazione del Forum dei giudici rumeni e l’Associazione per l’iniziativa per la giustizia i quali evidenziano come la CEDU abbia messo in luce alcune criticità del sistema giudiziario nazionale, in particolare per quanto riguarda il sistema di nomina dei giudici della’Alta corte, attualmente scelti dal Parlamento e dal presidente della Repubblica. In particolare per Popescu “sembra normale e di buon senso che i membri del CCR siano nominati per volontà di organi professionali di magistrati”.
Iohannis si è inoltre espresso con schietti toni nei confronti del PSD: “È chiaro che l’attuale parlamento, in questa configurazione politica, dominato anche dal partito che ha sponsorizzato il licenziamento della signora Kovesi, ha dimostrato di non essere in grado di prendere decisioni per proteggere i cittadini. Questo è il partito che da tre anni ha l’obiettivo di sconvolgere l’intero sistema giudiziario attraverso la costruzione di una legislazione penale volta a proteggere i criminali e non i cittadini onesti”.
Laura Kovesi stessa, parlando di vittoria del principio di indipendenza del sistema giudiziario dalle pressioni politiche, ha affermato: “Il mio licenziamento faceva parte di una campagna per intimidire la magistratura, nel tentativo di scoraggiare la lotta contro la corruzione. […] Questa sentenza della CEDU rafforza lo status di tutti i magistrati in Europa e li protegge da interferenze politiche discrezionali”.
In difesa della Corte si è espresso suo presidente, Valer Dorneanu: nel contesto del processo contro Kovesi, “la Corte costituzionale non ha potuto violare il diritto a un processo equo di una persona fisica per la semplice ragione che nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale ha esaminato un’altra questione che riguardava esclusivamente i poteri delle autorità pubbliche”. Il conflitto da risolvere era dunque di natura costituzionale.
Dorneanu prende anche di mira Klaus Iohannis e Ludovic Orban: “Le autorità pubbliche, vale a dire il presidente della Romania e il primo ministro, usano argomenti incompleti e imprecisi, senza corroborare la natura, il contenuto e gli obblighi derivanti dai due atti giurisdizionali [la decisione della Corte costituzionale e la sentenza della CEDU], i quali mettono in discussione il comportamento costituzionale leale delle autorità pubbliche nei confronti della Corte costituzionale”.
Per la CCR la sollecitazione a rivedere le decisioni a cui allude il presidente rappresenterebbe “una violazione estremamente grave dell’indipendenza della Corte e dei suoi giudici”.
Fra luci e ombre
Acclamata come paladina della giustizia sia in patria che all’estero per il suo impegno contro l’endemica piaga della corruzione in Romania, anche Kovesi celerebbe però alcuni ‘scheletri nell’armadio’.
Non mancano infatti ombre e ambiguità che concernono il suo operato e la gestione della DNA sotto la sua direzione. Impegnata in una lotta senza quartiere ai corrotti, è stata spesso criticata per i metodi duri e talvolta al limite della legge e una condotta caratterizzata da taluni casi di abuso di potere e discrezionalità.
La sua stessa ascesa presenta alcuni elementi dubbi, come ad esempio la vicinanza con l’ex presidente della repubblica Traian Basescu, che la nominò giovanissima a soli 33 anni procuratore generale della Corte di Cassazione.
Appare evidente anche dal dibattito successivo alla sentenza della CEDU una forte politicizzazione, non solo della vicenda e delle sue conseguenze sul sistema giudiziario, ma anche della stessa lotta alla corruzione.
Se è innegabile l’aspetto politico del licenziamento di Kovesi, abbiamo però anche visto che la stessa gestione della magistratura è ancora guidata da manovre e considerazioni di parte.
Le critiche di politicizzazione pesano anche sulla CCR, come abbiamo visto – e non solo per il caso Kovesi. Ha ricordato Popescu: “I giudici sono nominati politicamente da vari gruppi e figure politiche e lì rappresentano interessi extra-legali, fuori dalla legge, fuori dalla giustizia e dall’equità in tribunale.”
Fonte foto: EurActiv