Armin ha 11 anni, e da diciotto mesi è prigionero di Orban e del governo ungherese. Assieme a suo padre, l’artista iraniano Abouzar Soltani, è bloccato nella “zona di transito” di Röszke al confine tra Serbia e Ungheria.
L’anno scorso, per il suo compleanno, Armin e suo padre hanno girato un cortometraggio di 3 minuti dal telefonino. Il film, Fish, è stato presentato a vari festival internazionali, tra cui Verzio a Budapest, a Bratislava e al festival di Lugano.
“Sono Abouzar Soltani, ho 37 anni. Sono nato in Iran in una famiglia di artisti. Ho appreso calligrafia e fotografia da ragazzo dai miei fratelli. Per via delle differenze tra le mie idee politiche e il regime in Iran, ho dovuto lasciare il paese con mio figlio e cercare rifugio in Europa. Il governo ungherese ci ha imprigionato per oltre un anno in questo campo chiuso, che è come una prigione.
Quando ci hanno detto che ci avrebbero deportato in Iran, Armin ha smesso di disegnare e di parlarmi dei suoi desideri. Ho visto morire i sogni di mio figlio. Per questo ho cercato di tenere vivi i suoi sogni e la sua speranza, perché mio figlio è la mia speranza e la mia vita. Un film che è diventato la voce di centinaia di migliaia di bambini richiedenti asilo, per i quali la libertà resta un diritto negato”
Con il sostegno dell’Hungarian Helsinki Committee, Abouzar e Armin hanno fatto ricorso contro la decisione di rimpatrio, e il loro caso è arrivato fino alla Corte di giustizia dell’UE. I giudici del Lussemburgo hanno confermato ieri, 14 maggio, che quella a cui sono sottoposti Armin, Abouzar e gli altri richiedenti asilo nelle “zone di transito” è una detenzione illegale. Il governo ungherese dovrà quindi garantire l’accesso ad una corte, e una decisione nel giro di un mese massimo.
La Corte nota come la “zona di transito” di Röszke è circondata da un’alta recinzione con filo spinato, con vari settori tra cui i richiedenti asilo possono spostarsi solo per ragioni specifiche (atti procedurali, controlli o cure mediche), restando così tagliati fuori dal mondo esterno e costretti a vivere in una situazione di isolamento. I richiedenti asilo sono così privati della libertà di movimento, e anche la consultazione con i propri avvocati è garantita solo previa autorizzazione e scorta della polizia. Abbandonare la “zona di transito” comporterebbe la rinuncia alla richiesta d’asilo – e inoltre la Serbia non consente il rientro di chi è passato ormai in territorio ungherese.
Le direttive UE inoltre elencano in maniera esaustiva i motivi di eventuale irricevibilità delle domande d’asilo. La legge ungherese non può pertanto aggiungervi motivazioni ulteriori – quali l’ingresso da quello che può essere considerato un paese sicuro di transito, norma introdotta col pacchetto “stop Soros” nel 2018. Sta quindi all’Ungheria farsi carico dell’analisi della domanda di protezione internazionale di Armin e di suo padre.
“Negli scorsi tre anni non sono riuscito ad amare l’Ungheria con tutto il mio cuore, perché avevo paura della legge. Ma da qualche tempo ormai, con tutto il mio cuore, considero l’Ungheria come il mio paese“, ha affermato alla BBC Abouzar Solmani, che durante la detenzione ha anche appreso la lingua magiara.
Secondo l’UNHCR, nell’ottobre 2019 c’erano 178 minori detenuti nelle due “zone di transito” ungheresi. Dal marzo 2017, oltre 1700 minori sono stati detenuti per mesi in Ungheria, alcuni per oltre un anno. Il portavoce UNHCR, Erno Simon, ha definito tale detenzione a lungo termine di minori e altre persone vulnerabili come “completamente inaccettabile e inumana“.
L’Ungheria è stata accusata di affamare di proposito le persone trattenute nelle “zone di transito”, lasciandole senza cibo anche per cinque giorni di seguito. In oltre cinque casi, tra 2018 e 2019, la Corte europea dei diritti umani è intervenuta per obbligare le autorità ungheresi a fornire cibo alle persone trattenute nelle “zone di transito”, incluso Abouzar Soltani.
La decisione della Corte di Giustizia UE obbliga l’Ungheria a mettere fine ad un sistema di deterrenza basato sulla sofferenza, e volto ad impedire ogni ingresso sul proprio territorio a rifugiati e migranti.
Sta ora al tribunale di Szeged di decidere sul destino delle famiglie ricorrenti, in linea con la sentenza europea. L’avvocata Barbara Poharnok sostiene che l’Ungheria debba ora rilasciare tutti coloro che sono detenuti illegalmente nelle “zone di transito”. “Se ciò non sarà avverà, faremo in modo che i tribunali li costringano a farlo”.
Come nota l’Hungarian Helsinki Committee, dal 2015 migliaia di persone hanno dovuto subito questo sistema inumano ed ingiusto; il giudizio della Corte UE “segna la fine di anni di lotta e di sofferenze“. E anche Armin potrà festeggiare il suo dodicesimo compleanno in libertà.
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