L’emergenza covid-19 sembra aver accelerato la deriva autoritaria di alcuni Paesi offrendo ai governi la possibilità di prendere misure straordinarie volte ad aumentare il controllo sulle istituzioni. Esempio lampante sono i casi di Polonia e Ungheria, che rappresentano un campanello d’allarme per i sistemi democratici di altri Stati membri dell’UE ritenuti da sempre più fragili rispetto a quelli dei due Paesi Visegrad, come ad esempio la Bulgaria. Anche Sofia ha adottato una serie di misure di emergenza che potenzialmente minano il funzionamento della democrazia e ledono i diritti dei cittadini. E’ davvero l’ennesimo colpo fatale inferto alla democrazia, o si tratta di “semplici” misure transitorie dettate dalla straordinarietà del caso?
Il coronavirus e le misure bulgare
Attualmente, la Bulgaria è tra i Paesi dell’Ue meno colpiti dal coronavirus con 1955 casi registrati, ma che non ha ancora raggiunto il picco dei contagi secondo l’European center for disease control. Prima dei due casi di covid-19 registrati l’8 marzo, il governo bulgaro ha cercato di non farsi trovare impreparato adottando misure preventive quali il divieto di eventi culturali pubblici al chiuso. Inoltre, già a fine febbraio risale l’istituzione del Consiglio d’emergenza nazionale capitanato dal generale del servizio sanitario militare Ventsislav Mutafchiyski, incaricato di monitorare e dirigere le operazioni per il contenimento della diffusione del virus nei confini nazionali.
Probabilmente consapevole dell’incapacità del sistema sanitario bulgaro di far fronte alla pandemia, il primo ministro Borisov non ha atteso che i casi aumentassero ulteriormente per adottare misure più restrittive. Il 13 marzo il parlamento ha votato all’unanimità lo stato di emergenza: è stata imposta la quarantena obbligatoria a chi fa ritorno da Paesi che registravano casi di covid-19, la chiusura di bar, pub e ristoranti e quella di scuole e università. Sebbene la gestione della crisi abbia peccato di disorganizzazione – specialmente per quanto riguarda l’obbligo delle mascherine in pubblico, le difficoltà per la digitalizzazione dell’educazione scolastica e la carenza di strumenti adatti alla diagnosi del virus e protezione dal contagio del personale medico – le preoccupazioni sulle misure applicate non riguardano tanto la loro efficacia quanto gli effetti collaterali sul sistema democratico del Paese. L’ufficio del Procuratore ha assunto un ruolo sempre più importante nella gestione della crisi, limitando anche la libertà di parola. È infatti singolare il caso dei due dottori di un ospedale di Plovdiv che, dopo aver scritto una lettera alle autorità locali lamentando la mancanza di attrezzature adatte contro il covid-19, sono stati indagati dalla procura per aver diffuso il panico.
Le critiche non sono mancate anche da parte del presidente bulgaro Radev. Il 22 marzo, questi ha imposto il veto su una proposta di legge sulle misure e azioni da adottare durante lo stato di emergenza a causa della definizione troppo vaga di ‘fake news’. Secondo il presidente, l’assenza di una definizione ben precisa del termine avrebbe lasciato spazio a un’ulteriore deterioramento della libertà di stampa nel Paese, che per il terzo anno consecutivo si piazza al 111° posto nell’Indice mondiale di Reporter senza frontiere. Il giorno seguente, per accelerare la risposta alla crisi, il parlamento vota con una maggioranza schiacciante la proposta di legge del governo rivista. La legge, entrata in vigore retroattivamente al 13 marzo, apre però un vuoto legislativo non indifferente in quanto la costituzione bulgara non definisce chiaramente il concetto di stato di emergenza, lasciando quindi spazio a eventuali ritorsioni su questioni riguardanti diritti umani e stato di diritto. Inoltre, introduce la possibilità per le forze di polizia di richiedere e ottenere dagli operatori telefonici dati sensibili come posizione geografica, cronologia dei siti visitati e registri dei contatti chiamati dei cittadini in quarantena obbligatoria. Con una nuova norma, varata il 23 marzo, sono state affidate all’esercito funzioni di polizia per contribuire al monitoraggio degli spostamenti dei cittadini. La misura più grave viene promulgata il 26 marzo, quando il parlamento vota per entrare in modalità d’emergenza con il pretesto di proteggere anche i parlamentari dalla pandemia e potendosi quindi riunire esclusivamente per questioni riguardanti l’emergenza. Il partito socialista bulgaro (BSP), che ha espresso un voto sfavorevole alla proposta, ha poi accusato la maggioranza di voler instaurare una dittatura. Nonostante la legge preveda che una seduta parlamentare possa essere convocata da presidente, consiglio dei ministri, presidente dell’Assemblea nazionale o un quinto dei parlamentari (e quindi, anche dall’opposizione), il primo tentativo di BSP di richiesta di interrogazione di Borisov al parlamento è stato boicottato dal partito del premier, GERB.
La sera del 12 maggio, in una seduta straordinaria del parlamento, è stata approvata una nuova legge che permette al Consiglio dei ministri di dichiarare lo stato di situazione epidemica al termine dello stato d’emergenza. La fretta con cui è stata votata la legge è stata oggetto di critiche da parte di Radev, che ha accettato comunque il testo della proposta così com’era per evitare ritardi nelle misure a sostegno dell’economia. Il 13 maggio, terminato lo stato d’emergenza, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato d’epidemia fino a metà giugno; la nuova condizione lascia le misure emergenziali sostanzialmente invariate, permettendone l’estensione ma senza suscitare le preoccupazioni legate alle lacune costituzionali dello stato d’emergenza. A ogni modo, Radev ha fatto ricorso alla Corte costituzionale bulgara contro la nuova legge, preoccupato per la mancanza di un limite della durata massima della situazione d’epidemia (che ne permetterebbe l’ulteriore estensione da parte del Consiglio dei ministri), di criteri definiti per valutarne la necessità e delle restrizioni esagerate utilizzate per tali circostanze.
L’importanza di essere leader
Sebbene lo stato d’emergenza abbia offerto l’occasione al governo per aumentare la stretta sul Paese a causa delle lacune costituzionali, l’opposizione è riuscita a porre un freno a una deriva autocratica della Bulgaria. Tuttavia, Borisov non ha intenzione di uscire penalizzato per una gestione sbagliata della crisi. Per questo motivo, ha cercato di mostrarsi in grado di assumere un ruolo di leader nella crisi in modo tale da accrescere il consenso politico intorno a lui. Quando è diventato chiaro che il generale maggiore Mutafchyiski stava riscuotendo più successo di lui nel coordinamento delle misure, Borisov è apparso di sorpresa in tv annunciando la fine dei briefing quotidiani del Consiglio d’emergenza e sottolineando che il generale era stato scelto dal premier stesso. Inoltre, con l’incertezza sulla ripartenza del settore turistico, la disoccupazione in crescita soprattutto tra i lavoratori stagionali e un calo del PIL pari al 7,2% secondo la Commissione europea, molti bulgari sono preoccupati per le conseguenze economiche del coronavirus. In questo contesto rientrano le misure populiste come il congelamento degli stipendi dei parlamentari, l’obbligo per i supermercati di vendere prodotti bulgari o anche l’acceleramento del processo di adesione all’euro. In questo modo, Borisov sta cercando di portare a casa qualsiasi tipo di risultato che possa mettere al sicuro il proprio futuro politico, sbarrando la strada a chiunque possa rubarli il ruolo di guida del Paese.
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