Si accendono le polemiche in Bosnia-Erzegovina sulla gestione dei migranti. A fine aprile il nuovo ministro della Sicurezza, Fahrudin Radončić, ha illustrato il suo piano, che prevede “la deportazione dei migranti nei loro paesi d’origine”, e ha attaccato l’ambasciatore del Pakistan, Muhammad Khalid Rao, accusato di non voler collaborare all’identificazione dei cittadini pakistani presenti nel paese.
Visto il duro attacco, il presidente di turno della Bosnia-Erzegovina, Šefik Džaferović, ha convocato l’ambasciatore per presentargli le scuse del paese e per ribadire gli ottimi rapporti bilaterali fra Sarajevo e Islamabad, ma Radončić ha riacceso la polemica, accusando lo stesso capo di stato di avere “incoraggiato i migranti economici clandestini a non rispettare la polizia locale”. Uno scontro tutto interno al mondo politico bosniaco, giocato sulla pelle dei migranti presenti nel paese.
La situazione nel paese
La Bosnia-Erzegovina è l’ultima tappa della “rotta balcanica” percorsa dai migranti fino alle porte dell’Unione europea. Il confine decisivo è quello con la Croazia, dove si registra il maggior numero di persone che tentano di entrare nell’Unione europea o aspettano una risposta alle loro richieste d’asilo. Negli ultimi anni è aumentato il numero dei persone bloccate alle porte del confine, in una situazione di stallo e in condizioni che oscillano tra il precario e il vergognoso.
L’opinione pubblica e la popolazione locale sono divise fra una compassione frutto del ricordo di un passato recente in cui a essere profughi erano proprio i bosniaci e una crescente intolleranza. Radončić, personaggio controverso della politica bosniaca, sembra aver deciso di cavalcare l’onda di questa insofferenza, particolarmente evidente fra la popolazione delle zone di confine con la Croazia, come la città di Bihać. Il neo ministro si è servito del Dnevni Avaz, uno dei giornali più diffusi in Bosnia, di cui è proprietario, per alimentare la sua campagna. Il giornale riporta fedelmente ogni sua dichiarazione, con una parzialità a tratti evidente, e presta supporto alle sue tesi enfatizzando, proprio in questi giorni, i reati commessi da alcuni migranti. Secondo la polizia, nel 2019, sarebbero 205 i crimini commessi dai migranti nel cantone di Bihać.
Radončić ha dichiarato che è necessario distinguere fra i profughi siriani e i cosiddetti “migranti economici”. I secondi sarebbero circa 9000, provenienti soprattutto da Pakistan, Afghanistan, Bangladesh e Iraq, di cui il ministro vorrebbe procedere al rimpatrio. Secondo le sue parole, il maggiore ostacolo sulla sua strada sarebbe proprio l’ambasciatore pakistano Rao, accusato di non collaborare nell’identificazione dei migranti. Nel frattempo, l’ambasciatore si è dichiarato pronto a collaborare, sottolineando che la sua posizione è stata fraintesa, a causa di un’errata traduzione del suo comunicato.
Una questione di elettorato?
Gli attacchi di Radončić di questi giorni sembrano essere diretti, oltre che contro l’ambasciata pakistana, soprattutto contro il Partito d’azione democratica (SDA), partito nazional-conservatore bosgnacco di centro-destra, cui appartiene Džaferović. L’SDA è stato molto attento negli anni passati a proteggere i legami della Bosnia-Erzegovina con i paesi a maggioranza musulmana e in particolare con quelli che hanno fornito un aiuto concreto durante la guerra degli anni Novanta, fra i quali figura il Pakistan. Questo spiega perché Džaferović abbia immediatamente tentato di ricucire la frattura con l’ambasciata.
Radončić, invece, sta cercando di attrarre verso di sé gli elettori più insofferenti verso i migranti, con una campagna non dissimile da quelle portata avanti da alcuni politici nel resto d’Europa. Inoltre, il ministro sembra voler ritagliare uno spazio politico maggiore per il proprio Partito per un futuro migliore (SBB), a danno dell’SDA, alla quale contende una buona fetta dell’elettorato bosgnacco di centro-destra. Radončić ha deciso di fare leva su un tema delicato per l’SDA, che non ha totale libertà di movimento, dovendo stare attenta a non pestare i piedi agli alleati musulmani.
La frattura fra i due partiti è stata resa esplicitamente da Radončić:
“É innegabile il fatto che io e il signor Džaferović abbiamo due approcci opposti alla questione delle migliaia di migranti economici illegali provenienti dal Pakistan e dagli altri paesi dell’Africa e dell’Asia e alle conseguenze che tutto ciò può avere sulla Bosnia- Erzegovina. […] Il mio piano […] evidentemente non è stato accettato dal presidente di turno Džaferović e dalla vicepresidente del Consiglio dei Ministri Bisera Turković (SDA). Loro hanno sostenuto pubblicamente il non collaborativo ambasciatore del Pakistan.”
Mentre a Sarajevo si discute di tutto questo, le condizioni delle persone in viaggio verso l’Unione europea restano molto critiche. I profughi si trovano in un limbo di cui non si vede la fine, fra la crescente insofferenza della Bosnia-Erzegovina e i respingimenti della Croazia: una situazione drammatica utilizzata dai partiti politici, in Bosnia come altrove, per meri fini elettorali.
Foto: infoMigrants