di Giovanni Bensi*
da MOSCA – La repubblica russa del Daghestan, situata sulla sponda occidentale del Mar Caspio e confinante con l’Azerbaigian, abitata da almeno 11 etnie differenti, continua ad essere scossa dalle violenze generate dallo scontro fra musulmani fondamentalisti, i cosiddetti wahhabiti, o salafiti, di importazione straniera, e musulmani “confraternali”, seguaci dell’islam tradizionale. Alla fine di ottobre nella regione daghestana dei Tabasarani (estremo sud del paese) è stato ucciso un noto esponente del “clero” musulmano “confraternale”, Siradzhutdin Israfilov, meglio noto come sheikh Siradzhutdin Khurikskij, dal nome del villaggio di Khurik, dove risiede.
L’Islam daghestano
Lo sheikh Siradzhutdin era uno dei capi più autorevoli della confraternita Naqshbandiyyah. I daghestani, come gli altri popoli del Nord Caucaso russo, sono musulmani sunniti (tranne gli osseti che sono cristiani ortodossi). I sunniti di tutto il mondo si dividono in quattro madhhab (scuole giuridico-filosofiche): hanafiyyah, shafiiyyah, malikiyyah e hanabila. La prima è la più liberale, l’ultima la più rigida. Nel Nord Caucaso, in particolare in Daghestan, sono diffuse le prime due. Inoltre l’islam tradizionale nordcaucasico appartiene alla vasta area del tasawwuf, il sufismo, articolato in una serie di tariqa (“vie”), o confraternite, di cui in questa regione sono reperibili la Naqshbandiyyah (che è la più importante), la Kadiriyyah e la Shaziliyyah. Esse si suddividono in wird (“rami”), i cui membri, murid (“discepoli”), sono guidati da un murshid (“maestro”). I membri delle confraternite si riuniscono periodicamente in determinati luoghi e celebrano delle liturgie (hadra) che comprendono il dhikr (“menzione” di un attributo di Allah) e canti di versi mistici, soprattutto dal poema “Mathnavi-e ma’navi” (“Quartine spirituali”) di Jalaluddin Rumi (XIII sec.). Le confraternite diventano spesso anche centri di attività politica con i murshid in funzione di leader. Uno dagli esponenti più importanti della Naqshbandiyyah daghestana è lo sheikh Said Afandi Chirkejskij (Chirkawi).
L’infiltrazione wahabita
Tutto questo è considerato bid’a (“innovazione” ingiustificata) dai wahhabiti, rigoristi islamici penetrati nel Nord Caucaso soprattutto nel corso delle due guerre cecene e ora impegnati in una lotta senza quartiere contro l’islam confraternale e le autorità russe che lo appoggiano. I wahhabiti perseguono l’idea di un “Emirato del Caucaso” indipendente e fondato sui principi più rigidi della shari’ah (legge islamica) quali sono interpretati dalla hanabila, il madhhab ufficiale nell’Arabia Saudita. Esistono due organizzazioni militari wahhabite nel Nord Caucaso, l’Imarat Kavkaz ed il Riyadh us-salihin (lett. “Giardino dei giusti”, dal nome di un trattato esegetico medievale) responsabili di attentati come quello della scuola di Beslan (Nord Ossezia), al teatro moscovita sulla Dubrovka o al treno “Nevskij Ekspress” fra Mosca e S. Pietroburgo.
La lotta al wahabitismo
Nel corso dell’ultimo anno in Daghestan sono stati uccisi dai wahhabiti numerosi esponenti del’islam confraternale. Per esempio, nel settembre 2010 fu compiuto un attentato, fallito, contro Bekmurza Bekmurzaev, ministro per affari etnici, delle religioni e dei rapporti esterni del Daghestan. Il 1 novembre 2010 cadde sotto i colpi di arma da fuoco Basir Salahgereev, imam di una moschea di Khasavjurt. In aprile 2011 nel villaggio Jasnaja Poljana (distretto daghestano di Kizljar) venne ucciso l’imam Magomed Sajpulaev, fervente avversario dei wahhabiti.
La lotta contro i wahhabiti viene però spesso usata in Daghestan per colpire gli avversari politici. Il presidente daghestano Magomedsalam Magomedov nel 2010 propose una tregua ai wahhabiti. Questi gli recapitarono una lettera che conteneva anche richieste ragionevoli, come la “cessazione degli arresti immotivati da parte di persone sconosciute in abiti mimetici” (evidentemente militari russi). Intanto nella vicina Cecenia, ufficialmente “pacificata”, secondo i dati della Direzione di polizia della Circoscrizione federale nord caucasica, dall’inizio di quest’anno sono stati uccisi 131 guerriglieri.
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Giovanni Bensi è una delle voci più autorevoli tra i giornalisti che guardano ad est, classe 1938, laureatosi in lingua e letteratura russa all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia e all’Università “Lomonosov” di Mosca, dal 1964 è redattore del quotidiano “L’Italia” e collaboratore di diverse pubblicazioni.Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana “Radio Free Europe/Radio Liberty” prima a Monaco di Baviera e poi a Praga.
Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano “Avvenire” di Milano. E’ un esperto di questioni religiose, soprattutto dell’Islam nei territori dell’ex URSS. Autore di numerosi saggi tra cui ricordiamo: La Cecenia e la polveriera del Caucaso (2005) e Oltre la Cecenia. Gli altri conflitti del Caucaso.
Gent. Giovanni
la mia domanda è forse banale, me ne scuso in anticipo: la Russia di Putin ha usato in modo strumentale la lotta al wahabismo nel nord Caucaso, e per quali fini? C’è un’islamofobia nel putinismo? A farne le spese non è anche l’Islam moderato? Saluti
Matteo