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ROMANIA: La siccità sta uccidendo l’agricoltura

La Romania è ancora lontana dalla fine dell’emergenza Covid-19; alla data del 25 aprile, il numero di casi dall’inizio della pandemia è 10.635, mentre i morti sono 601. Il presidente della Repubblica Klaus Iohannis ha prolungato lo stato d’emergenza fino al 15 maggio, ed è difficile che prima di quella data le misure restrittive possano essere allentate. Il paese e il suo sistema sanitario stanno riuscendo, pur tra varie difficoltà, a far fronte al diffondersi della malattia; in sette giorni è stato allestito un intero ospedale ad Arad, nel Banato, per accogliere malati lievi e decongestionare le strutture ordinarie.

Nelle ultime ore, come nel resto d’Europa, a tenere banco è il confronto sulla ripartenza e, soprattutto, sugli effetti economici della crisi. Preoccupa il settore agricolo: oltre che dai drammatici effetti del lock down, le campagne romene sono state messe in ginocchio dalla siccità, giunta a livelli mai registrati dal 1947.

Crisi agricola e siccità

Il ministro dell’agricoltura Adrian Oros ha dichiarato che la situazione è particolarmente difficile in Moldova e in Dobrugia (regione costiera sud-orientale al confine con la Bulgaria), dove gli agricoltori dovranno ricevere aiuti e sovvenzioni dallo stato per far fronte alle perdite causate dal binomio virus-siccità. È stata soprattutto la coltivazione del grano a patire, tanto che molti parlano di un inevitabile aumento del prezzo del pane in autunno se non dovesse intervenire direttamente il governo. Secondo le stime del ministero, si registrerà un calo del 50% della produzione, e i più pessimisti paventano persino il rischio di una crisi alimentare; uno scenario che appare, in ogni caso, improbabile.

Le previsioni meteo nel breve periodo non inducono a maggiore ottimismo: nel prossimo mese non è prevista una quantità di precipitazioni tale da poter colmare il deficit d’acqua del suolo. La speranza è che giugno, mese tradizionalmente piovoso in Romania, possa dare respiro e speranza ai contadini.

Stop all’export

Per cercare di salvaguardare il mercato interno, l’esecutivo ha bloccato l’export di cereali nell’UE: Bucarest continuerà a vendere all’interno del mercato comune soltanto a chi potrà dimostrare che i prodotti verranno destinati al fabbisogno comunitario, e non all’esportazione. Una decisione mal vista a Bruxelles, dal momento che l’unione vende il grano romeno in grosse quantità ai paesi del nord-Africa e del medio-oriente.

La Romania è uno dei più importanti esportatori di cerali dell’Unione Europea: secondo i dati del ministero dell’agricoltura, nel 2018 (ultimo anno per cui si hanno stime esatte) ne sono state esportate, all’interno dell’UE, 12 milioni di tonnellate. Per quel che riguarda la produzione, il paese carpatico si situa al terzo posto dopo Francia e Germania, con un raccolto totale (sempre nel 2018) di più di 30 milioni di tonnellate. Vedere questi numeri accostati anche all’anno di (dis)grazia 2020 sarà impossibile.

L’esperienza del 1947

Soltanto una volta nella sua storia recente la Romania ha vissuto una siccità paragonabile a quella del 2019-2020, nel 1947. In quel caso, il danno provocato dalla mancanza di piogge venne acuito dalle devastazioni del conflitto, dall’assenza prolungata dai campi degli uomini impegnati in guerra e dall’obbligo di rifornire di grano l’Armata Rossa, che dal 1944 occupava il paese; il risultato fu una gravissima carestia. Anche all’epoca, la regione più falcidiata fu la Moldova, dove la mancanza di cibo spinse il governo ad avviare una campagna per spingere le famiglie romene del resto del paese ad adottare temporaneamente un bambino moldavo, salvandolo dalla fame. Molti trovarono salvezza proprio in Dobrugia, a Costanza e nella sua provincia, meno colpite dagli effetti della carestia.

La situazione odierna non è paragonabile a quella del 1947, ma resta difficile. L’agricoltura è ancora uno dei bastioni dell’economia romena, e una sua crisi prolungata avrebbe effetti non solo economici, ma soprattutto sociali, incalcolabili.

Questo articolo è frutto della collaborazione tra East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' attualmente assegnista di ricerca presso la medesima università. E' stato research fellow presso il New Europe College di Bucharest e professore di storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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