Come ampiamente preventivabile dal risultato della prima tornata elettorale, Arayik Harutyunyan non ha avuto difficoltà a vincere il ballottaggio per la presidenza della repubblica de facto del Nagorno-Karabakh dello scorso 14 aprile. In un secondo turno dominato dalla paura per la diffusione del Covid-19, l’ex primo ministro si è garantito la vittoria con una maggioranza schiacciante. Tra le sfide del neoeletto ci saranno la gestione dell’attuale situazione di emergenza, il conflitto con l’Azerbaigian, e il rafforzamento del legame con l’Armenia.
Il Nagorno-Karabakh è uno stato riconosciuto a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian, ma de facto indipendente. Il controllo di questo remoto territorio montuoso costituisce il pomo della discordia nelle relazioni tra Baku e Erevan fin dall’epoca sovietica. Negli anni venti, la demarcazione staliniana dei confini aveva visto la regione, con una popolazione a maggioranza armena, diventare una repubblica autonoma all’interno della RSS azera. Una guerra tra il 1988 e il 1994, costata 30 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati, ha portato alla secessione dall’Azerbaigian. Mantenere buoni rapporti con l’Armenia è, quindi, fondamentale per la leadership del Karabakh, la cui indipendenza si regge sul supporto finanziario, politico e militare di Erevan.
Il risultato delle elezioni
Un ritorno alle urne più che mai burrascoso, quello del 14 aprile in Nagorno-Karabakh. La comparsa dei primi casi di coronavirus, infatti, ha creato un clima di generale incertezza e timore, che si è rispecchiato nell’affluenza alle urne, scesa dal 73% al 45%. In particolare, nell’abitato di Mirik, dove è stato segnalato il primo caso, solo il 10% degli aventi diritto hanno scelto di votare. Su questi numeri hanno giocato un ruolo fondamentale le parole dell’altro candidato, Masis Mayilyan, che ha invitato i suoi elettori a non presentarsi ai seggi. Una mera formalità, quindi, la vittoria di Harutyunyan, che ha ottenuto l’88% delle preferenze.
Un risultato politico di grande importanza, che conferma la voglia di cambiamento che ha già investito l’Armenia negli ultimi anni. I due candidati presentatisi al ballottaggio, infatti, erano entrambi portatori di istanze di rinnovamento politico e allontanamento dalla vecchia classe dirigente, rappresentata dall’eroe di guerra Vitaly Balasanyan, arrivato terzo durante il primo turno. Pur essendo entrambi membri del precedente governo, i due candidati godevano dell’appoggio e del sostegno del primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Mentre Malayan si faceva portavoce di posizioni più estreme, quali l’unificazione con l’Armenia (“Miatsum” in armeno), Harutyunyan rappresenta il volto moderato della transizione.
Il neopresidente, politicamente attivo dal 2005 con il partito da lui fondato, Patria Libera, ha servito per dieci anni da primo ministro sotto il governo del presidente uscente Bako Sahakyan. Harutyunyan, è un influente oligarca locale, attivo in diverse sfere dell’economia nazionale. Queste caratteristiche gli hanno permesso di diventare il candidato numero uno alla presidenza, anche agli occhi di Pashinyan. Come spiegato da Emil Sanamyan, ricercatore dello USC Institute of Armenian Studies, Harutyunyan ha giocato un ruolo fondamentale nel mobilitare i suoi sostenitori a favore di Pashinyan durante la Rivoluzione di velluto. La sua grande capacità di collaborare con le autorità armene, inoltre, lo ha reso il candidato ideale alla vittoria.
Le prossime mosse del presidente
Ora che ha ottenuto il mandato presidenziale, Harutyunyan si trova di fronte al compito di costituire un governo supportato da un’effettiva maggioranza. I risultati delle elezioni parlamentari dello scorso 31 marzo, infatti, hanno garantito al suo partito 16 seggi su 33 disponibili all’interno dell’assemblea nazionale. Un risultato, tuttavia, non sufficiente a raggiungere la maggioranza per governare, che richiede almeno diciassette voti. Il primo ostacolo, quindi, sarà formare una coalizione governativa. La presenza in parlamento di due alleati di lungo corso di Harutyunyan, ossia l’ex presidente dell’assemblea nazionale Ashot Ghulyan e il partito Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF), entrambi presenti con tre seggi ciascuno, dovrebbe comunque garantirgli almeno due terzi del totale.
A rappresentare invece l’opposizione saranno due membri della vecchia guardia del paese: oltre al già citato Vitaly Balasanyan, un altro eroe di guerra fa il suo ingresso in parlamento, Samvel Babayan. Quest’ultimo, già ministro della Difesa dal 1995 al 1999 e considerato tra i più potenti uomini della scena politica armena, fu successivamente imprigionato con l’accusa di aver attentato alla vita dell’allora presidente Arkadi Ghukasyan. Dopo il rilascio dalla prigionia per motivi di salute e un volontario isolamento a Mosca, Babayan ritornò in Armenia nel 2016. Il suo partito, Patria Unita, rappresenta la principale forza d’opposizione, con ben nove seggi. Nella formazione del nuovo governo, Harutyunyan terrà certamente conto di queste due personalità, e non è da escludere la possibilità che decida di includerle nel suo gabinetto di ministri, specie in caso di una nuova escalation con l’Azerbaigian, come aveva già fatto Bako Sahakyan con Maylyan e lo stesso Balasanyan. Meno probabile, invece il coinvolgimento di Maylyan, che correva da indipendente e non avrà un posto in parlamento. Secondo diversi esperti, potrebbe scegliere di dedicarsi all’amministrazione cittadina in attesa di candidarsi per le prossime elezioni.
Sarà in questo quadro politico che Harutyunyan dovrà muoversi, cercando di coniugare la volontà di rinnovamento alle istanze della vecchia guardia. Come prevedibile, il suo primo gesto da presidente eletto è stato quello di incontrare sia Pashinyan che il presidente dell’Armenia, Armen Sargsyan, nel corso di una breve visita a Erevan. Tra le priorità del momento, oltre alla gestione dello stato di emergenza per il rischio pandemia, vi è la necessità della gestione del conflitto con l’Azerbaigian. Nonostante lo stato di emergenza mondiale, infatti, proseguono le violazioni del cessate il fuoco nelle zone di confine, mentre il monitoraggio dell’OSCE ha dovuto temporaneamente abbandonare la zona, togliendo al Gruppo di Minsk una notevole parte del suo potere di mediazione.
La via del compromesso
La figura di Harutyunyan rappresenta da un lato la svolta già intrapresa in Armenia nel 2018, dall’altro la permanenza al potere di quei rappresentanti dell’élite economica che permangono in tutto lo spazio post-sovietico come elementi indispensabili della vita politica. Questa posizione di mediazione tra due istanze così distanti l’una dall’altra lo rende quindi il presidente ideale per un rinnovamento, almeno parziale, della vecchia classe politica. Con la sua vicinanza alla linea ufficiale di Erevan potrà garantire il riavvicinamento dei due governi, che dopo l’Affaire Kocharyan si erano allontanati. Al contempo, la sua esperienza e le sue conoscenze lo rendono l’uomo giusto per garantire che gli interessi degli oligarchi e delle fasce più moderate non vengano eccessivamente intaccati.
Immagine: Reporter.am