Questa è la storia di un ragazzo che voleva solo giocare a calcio. Voleva solo inseguire un pallone, ma ogni volta che ci provava succedeva qualcosa di inatteso e doveva ricominciare da zero. Questa è la storia di Dale Mulholland, un americano oltrecortina.
Glasnost e perestrojka
Tutto inizia nel 1985. Michail Gorbačëv è da poco diventato Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Una sera in tv, Dale Mulholland, 21 anni, sente parlare di glasnost e perestrojka, di disgelo, di vecchi nemici che diventeranno amici. Ma soprattutto della necessità di scambi culturali, artistici e sportivi. Lui si sente un calciatore e in tutto ciò vede una specie di missione. Pensa più o meno: “Sono io quello di cui parlano”.
Dale scrive alla trasmissione che ha appena visto in tv, si propone. Ma per ora è tutto inutile, i normali cittadini non hanno contatti dall’altra parte della Cortina di Ferro. E’ ancora presto, non c’è modo. Ma il giovane calciatore, non si perde d’animo e percorre tutte le vie possibili. Parla con qualcuno nell’ambiente degli Atlanta Hawks, che sono tornati da poco da un tour dell’amicizia in Unione Sovietica. Riesce ad avere il contatto della donna che ha organizzato tutto. Lei è entusiasta e scrive a Vyacheslav Gavrilin, capo del Goskomsport, il comitato sportivo dell’Unione Sovietica. Incredibilmente questi risponde al telex. Dale commenta: “Probabilmente rispose perché non riceveva molte comunicazioni dagli Stati Uniti”.
Gavrilin è molto educato. Accoglie la proposta di Mulholland con estrema cortesia, lo ringrazia, ma gli fa notare come i tempi non siano ancora maturi. Poi però lo invita a non mollare, perché ci potranno essere possibilità in futuro. Musica per le orecchie dell’americano, che scrive a tutti i politici del suo Paese che gli vengono in mente, tanto che alla fine si interesserà di lui anche la Cia. Ma Dale non vuole diventare una spia. “La mia religione è il calcio”.
Il Lokomotiv Mosca negli Stati Uniti
Nel 1989 arriva una svolta. La Lokomotiv Mosca arriva negli Stati Uniti per una tournée di calcio indoor. Dale li segue, guarda le partite ma soprattutto progetta il suo futuro. Nota Aleksandr Golovnya, giocatore dei moscoviti, e decide che è perfetto, per caratteristiche calcistiche e fisiche, per essere la controparte nello scambio che porterà lui in Unione Sovietica. “E’ il calciatore russo che gli americani si aspettano”. Poi parla con l’allenatore, Yuri Semin, e gli spiega il suo piano, raccogliendo pareri positivi, sia da lui che da Golovnya. Ormai è solo questione di tempo.
Nel frattempo Mulholland firma un contratto di sei mesi con i Sing Tao Tigers di Hong Kong, diventando il primo americano a giocare da quelle parti. Ma nel mese di novembre vede in tv crollare il Muro di Berlino e capisce che è il suo momento. Torna immediatamente negli Stati Uniti. Gavrilin lo mette in contatto con un suo uomo a New York, Aleksandr Pruit, e tramite lui ottiene il visto per l’Unione Sovietica.
L’arrivo a Mosca
L’Americano arriva a Mosca dopo uno scalo a Belgrado e viene inizialmente sistemato nell’appartamento di Pruit. Il primo obiettivo è quello di trovare una squadra. Ma Mulholland non ha dubbi: vuole solo la Lokomotiv. La squadra moscovita è ancora allenata da Semin: grazie alla vecchia conoscenza si riesce ad organizzare un provino. Nonostante il freddo, Dale convince i dirigenti della Lokomotiv a tesserarlo. La vita nella capitale sovietica si presenta ricca di possibilità per l’americano, che vuole visitare musei e assistere a spettacoli teatrali. In una di queste occasioni, conosce Katya, che diventerà sua moglie – con la quale tuttavia divorzierà – nonostante la sua guardia del corpo, un veterano dell’Afghanistan, lo spinga ad incontrare belle e avvenenti ragazze.
Calcisticamente il suo inserimento procede bene, anche se all’inizio non capisce che cosa vogliano da lui quei gruppi di tifosi che seguono la squadra in casa e in trasferta, urlando e facendo casino. In America il fenomeno ultras non è ancora arrivato. Il portiere lo rassicura: vogliono solo sostenerci. Il suo stile molto tecnico, quasi fine a se stesso, lo rende unico agli occhi dei tifosi. E anche l’allenatore tollera le sue modalità “brasiliane”, nonostante la rigidità schematica del calcio sovietico del tempo.
La stagione si conclude con la promozione della Lokomotiv in prima divisione. Sembra l’inizio di una duratura storia d’amore fra l’americano e il club. Invece tutto collassa. Si sono aperte le frontiere e i migliori giocatori lasciano la squadra per accasarsi all’estero. Molte squadre abbandonano il campionato unitario per formare i campionati nazionali. E’ l’inizio della fine del calcio sovietico. Ma non della carriera di Dale Mulholland.
Dopo l’Urss la Jugoslavia
Gioca per un anno a Miami, ma poi torna in Europa, con l’obiettivo di essere incluso fra i convocati che rappresenteranno gli Usa nel Mondiale del 1994. Ci prova con due club inglesi di prima fascia, ma le cose non vanno per il verso giusto. Poi conosce uno dei più importanti agenti di calciatori della Jugoslavia, Ljubomir Barin. La proposta del procuratore è la seguente: posso portarti in Francia, dove ho molti agganci, ma prima devo parcheggiarti un anno in Jugoslavia. E il parcheggio è di tutto rispetto. Mulholland inizia ad allenarsi con la Dinamo Zagabria e si innamora perdutamente della libertà che in campo hanno i giocatori jugoslavi, rispetto ai freddi schemi sovietici.
Le cose stanno andando per il meglio e Barin assicura a Dale che la firma è a un passo. Poi di nuovo succede l’incredibile. Mentre sono in ritiro in albergo a Parenzo, in Istria, improvvisamente dal bosco escono gruppi di profughi: sono le primissime vittime della guerra che porterà alla dissoluzione della Jugoslavia. Inizialmente nessuno comprende la gravità della cosa, e lo stesso americano minimizza, immaginandosi un’evoluzione simile a quella alla quale ha già assistito in Urss. Barin però la pensa diversamente e manda un taxi da Graz, dove vive, per recuperare il suo giocatore. Mulholland non vuole partire, ma alla fine accetta, rassicurato dall’agente che gli spiega: “In un paio di settimane saremo di nuovo qui”. La storia dimostra che aveva torto.
Infine in Cecoslovacchia
Ma l’americano non molla e prosegue nel suo sogno di diventare un calciatore in Europa. Si sposta in Cecoslovacchia, dove diventa il primo straniero a vestire la maglia del Dukla Praga. Parlando di questa esperienza Dale Mulholland ci fa capire che, alla fin fine, forse, non è che fosse tutto questo grande intenditore di calcio. Parla, in un’intervista a The Blizzard, di un suo compagno di squadra. Un certo Pavel Nedvěd: “Era un calciatore senza cervello, che correva soltanto in giro per il campo come un cane e tirava da qualsiasi posizione, sperando che gli andasse bene. Rimasi sorpreso quando seppi che lo voleva lo Sparta Praga. E fui ancora più sorpreso quando fu selezionato per far parte della nazionale a Euro 96. E non vi dico quando vidi che avrebbe giocato. Fui scioccato quando Eriksson lo portò in Italia ed ebbi quasi un attacco di cuore quando fu comprato dalla Juventus. Sono quasi morto quando ho sentito che aveva vinto il Pallone d’Oro”.
Nonostante i due anni di contratto, la prima stagione al Dukla si conclude in maniera disastrosa: si frattura una caviglia, la squadra non vuole pagargli quanto pattuito a causa dell’infortunio e finisce tutto davanti al tribunale sportivo. Durante la sua permanenza il Paese si divide in Repubblica Ceca e Slovacchia. Alla fine Dale Mulholland vince la causa, ma i Mondiali di Usa 94 sono ormai irraggiungibili, così come la possibilità di diventare un calciatore in Europa. Non resta che tornare a casa. Aver assistito in prima persona alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, alla guerra dei Balcani e al “Divorzio di Velluto” cecoslovacco, non è cosa per tutti, soprattutto se sei un ragazzo che voleva solo giocare a calcio.
Foto: Championat.com