Era il 17 luglio 2014 quando il volo MH17 operato dalla Malaysia Airlines partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur non arrivò mai a destinazione. Dopo 5 anni di indagini da parte del Joint Investigation Team, la procura olandese incriminò 4 uomini, di cui 3 russi e un ucraino, come sospetti responsabili della strage. Secondo quanto ricostruito nell’inchiesta internazionale, il Boeing 777 fu abbattuto da un missile Buk nello spazio aereo sovrastante il territorio del Donbas, nell’Ucraina orientale, dove il conflitto tra milizie ucraine e separatisti supportati militarmente da Mosca era scoppiato da pochi mesi. La tragedia costò la vita di 298 persone. La prima udienza si è svolta lo scorso 9 marzo davanti alla Corte distrettuale dell’Aia nonostante l’assenza gli imputati.
Come si è arrivati al processo
L’istituzione del JIT era finalizzata a identificare i responsabili dell’accaduto oltre che a ricostruire le circostanze dell’abbattimento del velivolo. Nel giugno 2019 le indagini stabilirono che il lancio del missile, arrivato dalla città russa di Kursk, era avvenuto vicino ad un villaggio controllato da unità militari non statali filorusse.
Ad oggi, il joint investigation team ha reso noto i nomi dei 4 imputati, ma continua a indagare per individuare altre figure potenzialmente coinvolte nella strage. Sebbene nessuno dei quattro accusati abbia personalmente premuto il pulsante di lancio del razzo, il joint investigation team ritiene che siano state le loro azioni a rendere possibile il trasporto del sistema Buk in Ucraina e ad utilizzarlo contro gli aerei passeggeri della Malaysia Airlines.
La versione degli investigatori è supportata dalle conversazioni telefoniche pubblicate tra Igor Girkin e Sergej Aksënov, capo della Repubblica di Crimea, illegalmente annessa dalla Russia nel 2014. Inoltre, il coinvolgimento del Cremlino a supporto dei separatisti del Donbas sin dal principio del conflitto venne a galla con lo scandalo “Surkov Leaks”.
Il primo tentativo di avviare un procedimento penale per il caso MH17 risale al 2015, quando la Russia durante la votazione in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite bloccò la proposta di istituire un tribunale internazionale. Dopo aver preso in considerazione diverse possibili opzioni, gli esperti hanno deciso di attribuire la responsabilità dell’azione penale ad un tribunale nazionale ordinario. In seguito ad un accordo informale tra joint investigation team e i paesi di origine delle vittime, il Tribunale distrettuale dell’Aja è stato scelto come sede per condurre il procedimento penale centrale.
Il silenzio russo
Durante l’intero corso delle indagini, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha ripetutamente respinto le accuse di responsabilità nei confronti del paese per l’abbattimento del volo MH17. A poca distanza dall’avvio del processo, l’agenzia di stampa russa TASS ha riportato il commento della portavoce del ministero degli Esteri Marija Zacharova, secondo la quale il joint investigation team mancherebbe di imparzialità. La portavoce ha richiamato l’attenzione sull’obbligo da parte della Corte di rispondere a richieste di ulteriori verifiche sollevate dalla difesa.
Come da tradizione, il Cremlino ha strutturato una massiccia campagna di disinformazione fondata su fake news e teorie cospirative per confondere l’opinione pubblica e screditare l’indagine, come testimoniano gli oltre 200 casi riportati nel database della piattaforma EUvsDISINFO.
Questioni legali ancora da chiarire
Nonostante molte delle prove raccolte finora dal joint investigation team confermino il coinvolgimento degli imputati nell’abbattimento del volo MH17, questo non assicura che si arriverà al giudizio definitivo in tempi brevi. La Corte distrettuale dell’Aja dovrà rispondere a diverse questioni legali ancora irrisolte.
L’interrogativo di maggior rilievo è rappresentato dalla presenza o meno della componente intenzionale nei confronti dell’attacco diretto a obiettivi civili. Nel caso MH17 la presenza di tale fattore non è evidente, rendendo ulteriormente complicato stabilire se si sia verificata una violazione del diritto umanitario internazionale, ovvero un crimine di guerra. L’incerta classificazione del reato ha influito sulla strategia di non perseguire i crimini di guerra scelta dall’accusa olandese. Tuttavia, tale decisione potrebbe giocare a favore degli imputati chiamati a processo, laddove gli avvocati di questi ultimi decidessero di battersi per una qualificazione errata del reato.
Nello scenario in cui il reato venisse riconosciuto come crimine di guerra, allora sorgerebbe un secondo problema relativo alla natura del conflitto armato in Ucraina. Qualora questo venisse riconosciuto come conflitto internazionale, verrebbe in seguito valutata la possibilità di ricorrere ad un’azione penale. Infine, una questione non meno spinosa riguarderebbe la forma assunta dall’intenzionalità del reato commesso, la quale dovrà essere verificata affinché la responsabilità degli autori del reato possa essere provata.
Essendo l’udienza ancora allo stadio iniziale, risulta difficile anticipare gli sviluppi del processo. Un’analisi delle sfide che attendono l’azione giudiziaria sarà possibile solo dopo che i procuratori avranno mosso i primi passi nel processo e nel momento in cui la strategia dell’accusa sarà chiara.
foto: Dominique Faget, Afp