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KOSOVO: Divisioni nel governo, rimandata la rimozione delle tariffe sulle merci serbe

Per la distensione dei rapporti tra Kosovo e Serbia è, ancora una volta, tutto rimandato. Il 15 marzo era la data in cui sarebbe dovuta iniziare la rimozione delle tariffe del 100% sulle merci in entrata in Kosovo dalla Serbia (e dalla Bosnia Erzegovina). Questo avrebbe dovuto rappresentare il primo passo per la riapertura del dialogo tra i due paesi, con l’obiettivo finale di un accordo che prevedesse il riconoscimento da parte della Serbia dell’indipendenza della sua ex provincia.

Il piano di Kurti

Il piano, proposto nelle scorse settimane dal neo-premier kosovaro Albin Kurti, leader della formazione nazionalista di sinistra Vetevendosje, ha trovato però l’opposizione degli alleati di governo della Lega democratica del Kosovo (LDK), che hanno per il momento bloccato l’implementazione delle misure. Il piano di Kurti prevedeva la graduale e parziale rimozione dei dazi sulle merci serbe in cambio del principio di reciprocità nelle relazioni politiche ed economiche con la Serbia – giudicate al momento a senso unico dal primo ministro.

Il primo passo era previsto per il 15 marzo, con la rimozione delle tasse sui materiali grezzi, misura che avrebbe poi interessato tutte le merci dal primo aprile, per un periodo di tre mesi. Alla fine dei quali le tariffe potrebbero essere reintrodotte. La coalizione di governo del Kosovo non ha però trovato un accordo per rendere effettiva la decisione di rimuovere le tariffe. La LDK ha spinto per una rimozione totale e immediata delle tariffe, mentre Kurti ha continuato a sostenere il proprio progetto e la reciprocità con Belgrado.

Il premier Kurti si è scusato davanti al parlamento per non essere riuscito a rendere effettive le misure da lui proposte il 26 febbraio: «Non sono stato in grado di convincere il nostro alleato di governo, LDK, di quello di cui sono convinto: rimpiazzare gradualmente le tariffe con la reciprocità è la strada più corretta e utile» ha detto Kurti. Nella stessa seduta straordinaria il parlamento ha anche votato per dare mandato al solo governo per negoziare un accordo con la Serbia, togliendo potere al presidente Hashim Thaci, con il quale Kurti si era già più volte scontrato nelle sue prime settimane da primo ministro e che ha condotto per anni i negoziati con la Serbia, con il sostegno americano.

Le pressioni USA e l’accordo dei presidenti

A livello internazionale i due maggiori attori interessati nelle relazioni tra Serbia e Kosovo si sono divisi sul piano di Kurti. Se l’Europa ha applaudito le misure proposte dal premier kosovaro come un primo benaugurante step, gli Stati Uniti si sono detti fortemente contrari. La posizione di Whasington è quella di una rimozione immediata e totale delle tariffe in modo da raggiungere in poco tempo un accordo tra Belgrado e Pristina, fortemente voluto dall’amministrazione Trump. La Casa Bianca appare impaziente di farsi garante di un accordo storico – sarebbe un grande successo da rivendicare prima delle elezioni di novembre – per poi disimpegnarsi nei Balcani.

Gli Usa avevano già promosso due anni fa un accordo tra Serbia e Kosovo che prevedeva lo scambio di territori tra i due stati. Alla Serbia sarebbe andata la zona a maggioranza serba a nord del Kosovo, mentre Pristina avrebbe annesso i territori della valle di Presevo. I colloqui su questa ipotesi si interruppero proprio a causa dell’introduzione delle tariffe sulle merci serbe, nonchè della contrarietà dei maggiori paesi europei, spaventati di un possibile effetto “vaso di Pandora” in tutta la regione.

Ora Trump vorrebbe chiudere la questione. Il suo inviato speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Richard Grenell, ha più volte ribadito la necessità di una rimozione completa delle tariffe, senza il principio di reciprocità, come condizione senza la quale un dialogo tra i due paesi non ci può essere. Per Grenell le «mezze misure» che Kurti vorrebbe varare sarebbero un «grave errore». Thaci sposa questa posizione e ha contribuito a mettere pressione sul governo di Kurti.

Thachi e il suo omologo, il presidente serbo Aleksandar Vucic si sono incontrati anche a inizio marzo a Washington, oltre ad avere colloqui con lo stesso Grenell e altri uomini del presidente Trump. Indiscrezioni hanno perfino sostenuto che Thaci e Vucic abbiano già stipulato l’accordo tanto voluto dalla Casa Bianca. Lo stesso Kurti, parlando al parlamento, si è detto convinto che «un accordo esiste già». Vucic ha però negato si sia parlato di alcun accordo.

La minaccia del ritiro delle truppe

Ad incrementare le pressioni sul governo kosovaro sono state le voci riguardanti la presunta minaccia americana di ritirare le proprie truppe dalla missione KFOR (Kosovo Forces) della NATO se il Kosovo non avesse cancellato le tariffe sui beni serbi. La proposta è arrivata dal senatore repubblicano David Perdue e poi appoggiata da Donald Trump Jr., il figlio del presidente Trump.

Gli Stati Uniti partecipano alla missione con 650 militari, sui 3.526 totali. Gli americani sono i maggiori sostenitori del Kosovo e della sua indipendenza da quando nel 1999 contribuirono alla sconfitta della Serbia di Slobodan Milosevic nell’ultima guerra jugoslava, e restano i garanti della sicurezza nella regione.

Radio Free Europe ha anche riportato che negli ultimi giorni l **’agenzia di aiuti esteri statunitense specializzata nell’assistenza allo sviluppo in Kosovo ha annunciato la sospensione di un programma per contribuire alle prospettive di crescita economica fino a quando Pristina risolverà la sua «questione tariffaria» con la vicina Serbia. Un altro segnale dell’impazienza americana per arrivare ad un accordo al piu’ presto.

Dazi e delegittimazione internazionale

Al centro della ripresa del dialogo, le tariffe sulle importazioni furono introdotte dal governo di Ramush Haradinaj nel 2018 in risposta alla strategia diplomatica portata avanti dalla Serbia per indurre alcuni paesi che avevano riconosciuto l’indipendenza del Kosovo a ritirarla. L’ultimo in ordine di tempo è stato, il 3 marzo, la Sierra Leone. Al momento sono più di 110 quelli che riconoscono il Kosovo ma, oltre alla Serbia, in Europa il piccolo stato non è ancora legittimato da Grecia, Spagna, Slovacchia, Romania e Cipro. Belgrado inoltre blocca ancora l’accesso del Kosovo, dichiaratosi indipendente nel 2008, alle organizzazioni internazionali, come l’Onu e Interpol, grazie al prezioso supporto russo.

Ora, quando un piccolo passo in avanti per la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi sembrava deciso, il mancato sostegno della LDK rimanda ancora la riapertura del dialogo, oltre a far traballare il governo di Kurti. Pristina e Belgrado sono obbligate a navigare a vista, tra le pressioni americane, le incertezze europee e fronti interni non trascurabili, aspettando il grande accordo.

Foto: Emerging Europe

Chi è Tommaso Meo

Giornalista freelance, si occupa soprattutto di Balcani, migranti e ambiente. Ha scritto per il manifesto, The Submarine e La Via Libera, tra gli altri. Collabora con East Journal dal 2019.

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