Quarantena è un termine divenuto comune in queste settimane. E’ un termine che all’origine indica un lasso di tempo specifico – quaranta giorni, quelli imposti dalla Serenissima ai passeggeri in arrivo come prevenzione verso la peste nera, da trascorrersi sull’isola del Lazzaretto o in seguito a Poveglia.
Un periodo temporaneo di profilassi, per prevenire e sopprimere ogni focolaio di malattia. Eppure, come ricorda lo storico bosniaco Edin Hejdarpasic, le istituzioni organizzate a tale scopo possono durare molto più a lungo. E’ il caso del “confine sanitario” degli Asburgo con l’Impero ottomano, un’istituzione che combinava sorveglianza politica, economica e medica.
Dal 1770 al 1871, le autorità asburgiche mantennero nella frontiera militare un corridoio di quarantena lungo le oltre 1000 miglia di confine con l’Impero ottomano. L’idea ebbe origine nella scienza medica dell’era dell’illuminismo, che l’imperatrice Maria Teresa d’Austria trasformò in una politica più sistematica.
A quel tempo, la convinzione prevalente era che la fonte della peste fosse il Vicino Oriente, il Levante, che a quel tempo coincideva con i domini ottomani (si vedano su questo, ricorda Hajdarpasic, gli eccellenti studi di Nükhet Varlık sulla peste e sulla medicina moderna).
Una parte fondamentale della prevenzione della peste quindi, insieme alla riforma delle pratiche sanitarie nei domini asburgici, era l’istituzione di stazioni permanenti di quarantena lungo il confine ottomano. In teoria, tutti i viaggiatori in arrivo dall’Impero ottomano dovevano rimanere lì 21 giorni (42 in caso di peste).
Le pratiche differivano. I dignitari ottomani di alto rango restavano talvolta per periodi più brevi. Molte persone attraversavano la frontiera militare fuori dalle stazioni preposte; alcuni venivano catturati e messi in quarantena e successivamente rilasciati; altri rispediti indetro. All’inizio, le punizioni per i trasgressori erano severe, ma in seguito le cose cambiarono.
La maggior parte delle merci, persino posta e denaro, doveva trascorrere del tempo in quarantena; le buste postali venivano forate e i fumigate, le monete immerse nell’aceto, etc. Il costo di tali misure di quarantena veniva pagato dagli abitanti locali oltre che dai viaggiatori.
Molti residenti al confine, lungi dall’essere dissuasi dal confine sanitario, lo incorporarono nei loro piani di viaggio e di commercio. “Vieni e assicurati di lasciare abbastanza tempo per la quarantena di 21 giorni”, scriveva un funzionario vaticano del XVII secolo in un invito ai francescani bosniaci.
Ma dal XIX secolo molti iniziarono a criticare questi ostacoli agli affari. E le conoscenze mediche in evoluzione non raccomandavano più confini sanitari permanenti. Con l’aumento dei dati medici, le critiche politiche e le richieste economiche per il “libero scambio”, l’intera istituzione della frontiera militare e le pratiche sanitarie di quarantena furono riformate dopo il 1840 e alla fine abbandonate dal 1871.
Il graduale smantellamento del confine sanitario asburgico è forse la parte più conosciuta di questa storia. Ma solo recentemente gli storici hanno preso sul serio l’altro lato del confine, ad esempio Varlık esplorando le questioni ottomane e di confine.
Come ricorda Hajdarpasic, la maggior parte dell’attenzione nella storia delle relazioni tra ottomani e asburgici è stata sul lato politico: leggi, diplomazia, competenza medica. Ma le persone spesso pagano il costo, previsto o no, di tali misure.
Vale dunque la pena spostare le nostre prospettive e porre domande sugli effetti a lungo termine, locali e imprevisti delle misure di quarantena. Fare ciò ci puù aiutare ad avere una visione più ampia di come le cose si svolgono nella pratica. Una lezione che ci può essere utile anche nel nostro XXI secolo.