GEORGIA: Accordo tra maggioranza e opposizione in vista delle elezioni di ottobre

Domenica 8 marzo il partito di governo Sogno Georgiano e i partiti d’opposizione hanno infine trovato un accordo sulla legge elettorale che regolerà le consultazioni del prossimo ottobre per il rinnovo del parlamento. Al centro dei dibattiti da quasi un anno, la riforma costituzionale che prevede il passaggio da un sistema elettorale di tipo misto a uno di tipo proporzionale ha rischiato di generare una vera e propria crisi politica nel paese.

Le continue manifestazioni e un susseguirsi di colpi di scena attorno alla legge elettorale avevano generato apprensioni non solo per l’opinione pubblica georgiana, ma anche per la comunità internazionale: fin dallo scorso novembre, diplomatici statunitensi, rappresentanti dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa hanno cercato di fare da mediatori tra le varie forze politiche georgiane. I diplomatici stranieri hanno finalmente tirato un sospiro di sollievo dopo essere riusciti a mediare un accordo che, secondo quanto dichiarato, “assicurerà lo svolgimento nel 2020 di elezioni parlamentari libere e democratiche che riflettano la volontà del popolo georgiano”.

La legge elettorale della discordia

I rappresentanti dell’opposizione e della società civile georgiana hanno a lungo invocato una riforma del sistema elettorale, sostenendo che l’attuale sistema permetta al partito di governo un facile accentramento di potere contrario ai princìpi democratici. Lo dimostra il fatto che, con le elezioni parlamentari del 2016, il Sogno Georgiano abbia guadagnato il 76% dei posti in parlamento pur avendo ottenuto solo il 48% dei voti.

Inizialmente, il Sogno Georgiano aveva previsto di rimandare l’introduzione del sistema proporzionale fino al 2024, come previsto dalla costituzione riformata dallo stesso partito nel 2017. Le cose sono però cambiate in maniera inaspettata alla fine dello scorso giugno: in risposta alle grandi manifestazioni anti-occupazione russa e antigovernative che avevano infiammato la capitale georgiana, Bidzina Ivanishvili aveva annunciato l’introduzione del sistema proporzionale e senza soglia di sbarramento già per le elezioni dell’ottobre 2020 (ne avevamo parlato qui).

Una mossa che teoricamente andava incontro alle richieste di cambiamento avanzate dalla popolazione, ma che è stata poi ritrattata il 14 novembre scorso quando il parlamento georgiano ha respinto il disegno di legge che avrebbe modificato le procedure elettorali. Le proteste si erano quindi riaccese, al punto che le autorità georgiane avevano deciso di erigere un muro di ferro davanti al parlamento per contenere i manifestanti (ne avevamo scritto qui). Da allora, ci sono voluti quattro mesi per giungere ad un accordo tra le varie forze politiche, che ha visto la luce solo grazie alla mediazione dei diplomatici stranieri.

Come si svolgeranno le prossime elezioni

In base al nuovo accordo, alle elezioni parlamentari del prossimo ottobre 120 deputati su 150 saranno eletti secondo il sistema proporzionale, mentre il numero di deputati eletti secondo il sistema maggioritario sarà ridotto a 30. Un sistema di tipo misto rimarrà quindi in vigore, ma la bilancia penderà decisamente più a favore del proporzionale. Fino ad oggi, infatti, 77 parlamentari georgiani venivano eletti secondo un sistema proporzionale, e 73 secondo un sistema maggioritario.

La nuova legge elettorale istituisce inoltre la soglia di sbarramento all’1% (contrariamente al 5% attuale) per permettere anche ai partiti più piccoli di essere rappresentati in parlamento. Infine, l’accordo stabilisce che solo un partito avente ottenuto il 40% dei voti possa formare un governo da solo. A partire dal 2024, come previsto dalla costituzione, il paese passerà invece ad un sistema proporzionale puro.

Crisi scampata o rimandata?

Il compromesso raggiunto l’8 marzo ha i suoi vantaggi sia per la maggioranza che per l’opposizione; la crisi politica sembra scampata, almeno per il momento. Alcune questioni particolarmente spinose restano però ancora irrisolte, tra cui la liberazione di quelli che l’opposizione definisce “prigionieri politici”.

Il 3 febbraio scorso la Corte Suprema aveva condannato a 3 anni e due mesi di carcere Gigi Ugulava, ex sindaco di Tbilisi e leader del partito d’opposizione Georgia Europea, per appropriazione indebita di 48 milioni di lari georgiani (circa 15 milioni di euro). La sentenza, descritta da numerosi osservatori (inclusi i rappresentanti della comunità internazionale) come dettata da ragioni politiche, aveva scatenato l’ira dell’opposizione e marcato un ulteriore arresto nei negoziati relativi alla riforma elettorale.

Come riportato da OC Media, ancora il 9 marzo i partiti d’opposizione hanno rilasciato una dichiarazione in cui chiedono la liberazione di diversi prigionieri politici (Gigi Ugulava, ma anche l’ex ministro della difesa Irakli Okruashvili, un partecipante alle proteste del 20 giugno e il fondatore di un canale televisivo di opposizione) come parte dell’accordo sulla riforma elettorale. Nel testo dell’accordo non si fa però riferimento a questi prigionieri, e il carattere politico del loro arresto viene negato dai rappresentanti del Sogno Georgiano.

Per questo, nonostante tutte le forze politiche si dichiarino vincitrici, e la comunità internazionale soddisfatta dell’accordo raggiunto, gli osservatori di politica georgiana considerano che la crisi sia stata semplicemente rimandata piuttosto che risolta. Le elezioni dell’ottobre 2020 rappresenteranno un momento decisivo: l’ingresso in parlamento di partiti più piccoli nonché l’eventuale formazione di una coalizione di governo rischiano di mettere a repentaglio il dominio del Sogno Georgiano, preannunciando instabilità e scenari poco prevedibili per la politica georgiana.

Immagine: 1tv.ge 

Chi è Laura Luciani

Nata a Civitanova Marche, è dottoranda in scienze politiche presso la Ghent University (Belgio), con una ricerca sulle politiche dell'Unione europea per la promozione dei diritti umani e il sostegno alla società civile nel Caucaso meridionale. Oltre a questi temi, si interessa di spazio post-sovietico in generale, di femminismo e questioni di genere, e a volte di politiche linguistiche. E' stata co-autrice del programma "Kiosk" di Radio Beckwith.

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