Il complesso caso di omicidio di Pavel Sheremet – giornalista russo di origine bielorussa, ucciso a Kiev il 20 luglio 2016 in un’autobomba – dopo quasi quattro anni di silenzio sembra iniziare a dipanarsi. Le indagini, però, potrebbero andare ben oltre, togliendo il velo dall’oscuro ruolo dei servizi segreti in Ucraina.
Una vita a sostegno della lotta per la libertà di espressione
Gli esordi della fervida carriera giornalistica di Sheremet risalgono ai primi anni ’90 quando, in un clima di crescente conflitto con il regime bielorusso, Pavel divenne dapprima direttore del quotidiano Belorusskaya Delovaya Gazeta e poi collaboratore per l’emittente televisiva russa ORT. Firmatario e maggior promotore della Charter Ninenty-Seven – manifesto pro-democrazia che auspicava la fine delle violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali perpetrate dal governo bielorusso – Sheremet era noto ai più per i suoi coraggiosi reportage sugli abusi politici commessi in Bielorussia e per il suo atteggiamento segnatamente critico nei confronti dei regimi presidenziali di Vladimir Putin e Petro Porošenko. Fedele amico dell’attivista e oppositore russo Boris Nemtsov ucciso nel 2015, fu incarcerato dal governo bielorusso nel 1997 – evento che scatenò un’accesa disputa diplomatica tra Mosca e Minsk.
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Un’autobomba, mille interrogatori e nessun sospetto
Pavel morì nel centro di Kiev il 20 luglio 2016 alle ore 7:45, ucciso dall’esplosione dell’auto su cui viaggiava mentre si recava al lavoro. In seguito all’incidente, le forze dell’ordine elaborarono quattro possibili cause dell’accaduto: attività giornalistica professionale del soggetto, situazione di conflitto domestico e interpersonale, destabilizzazione della situazione geopolitica in Ucraina, e malfunzionamento dell’oggetto del crimine (l’auto era di proprietà e veniva utilizzata dalla moglie del defunto, nonché ex caporedattore di Ukrainska Pravda, che al momento dell’esplosione non era presente). Fu chiaro sin dall’inizio che si trattasse di un omicidio premeditato, ma per quale scopo? E chi era il mandante?
Dal giorno dell’accaduto sono stati condotti più di 20 esami, interrogate oltre 3.700 persone, monitorate 80 milioni di trasmissioni mobili ed esaminati i filmati di tutte le telecamere a circuito chiuso, di cui più di 150 terabyte sono stati rimossi. Nonostante le innumerevoli misure messe in atto per risolvere l’intricata vicenda, compreso il coinvolgimento dei sistemi investigativi di Europol e Interpol, gli sforzi condotti non sembrarono tuttavia essere sufficienti. Anche se in molti sin dall’inizio avevano puntato il dito contro il Cremlino, a tre anni di distanza il caso Sheremet sembrava rimanere irrisolto.
Finalmente dei sospettati…
Dopo anni di silenzio, quando ogni fiducia sembrava andata perduta, una luce di speranza si è accesa negli occhi dei famigliari di Pavel e dell’intera comunità giornalistica. Lo scorso dicembre infatti le forze dell’ordine ucraine hanno comunicato l’arresto di cinque persone. Tra queste vi sono il musicista e veterano di guerra Andriy Antonenko, elogiato da Porošenko nel 2017 per il valoroso servizio prestato nella guerra del Donbass contro le milizie filorusse, e la sua amica Julia Kuzmenko, chirurgo pediatrico e volontaria al fronte. Entrambi sono stati accusati di aver piazzato l’ordigno esplosivo sotto l’auto di Sheremet.
A questi si aggiungono Vladyslav e Inna Griščenko, una coppia di ex-veterani messi agli arresti lo scorso gennaio dietro imputazione per aver tentato di uccidere un uomo d’affari ucraino facendo esplodere la sua auto. L’indizio probante presentato dall’accusa nei confronti dei due coniugi è stato rappresentato dall’autobomba che essi avevano utilizzato, molto simile a quella impiegata per uccidere Pavel. A loro si aggiunge Yana Dugar, veterana di guerra e infermiera in un battaglione paracadutista, accusata anch’essa di aver partecipato all’omicidio come complice.
Stando a quanto riportato dal Ministero degli Interni e dalla Polizia Nazionale, l’obiettivo dei cinque arrestati sarebbe stato quello di destabilizzare la situazione sociopolitica del paese. Le indagini hanno infatti ritenuto che la mente dietro il caso possa essere quella di Antonenko, il quale avrebbe deciso, mosso presumibilmente da sentimenti nazionalisti radicali, di costituire un gruppo armato per perpetrare l’omicidio del giornalista. Una spiegazione che però non convince tutti.
Coinvolgimento dei servizi segreti?
I recenti sviluppi aprono però un nuovo fronte, quello politico. Non si può non notare che l’accelerazione nelle indagini sia avvenuta con l’arrivo al potere del nuovo presidente Volodymyr Zelensky, un chiaro messaggio politico. Inoltre, in molti sono rimasti attoniti dalla scoperta che i principali indagati, ad oggi, siano tutti volontari o membri dell’esercito ucraino con un passato al fronte.
Ma a complicare e politicizzare ulteriormente la situazione sono le rivelazioni, confermate anche dal nuovo capo dell’SBU Ivan Bakanov, che uno dei presunti colpevoli potrebbe essere stato un informatore dei servizi segreti ucraini (SBU), ipotesi avallata dal ritrovamento di una conversazione telefonica – resa pubblica dai media – tra il sospettato e un dipendente dell’SBU. Anche se secondo la difesa essa non dimostra un coinvolgimento diretto tra il sospettato e l’agenzia di stato, il possibile ruolo del SBU getta un’ulteriore ombra sulla morte di Sheremet.
Già nel maggio 2017, infatti, un’indagine condotta dal dipartimento investigativo insieme ad alcuni colleghi giornalisti della rete internazionale dell’OCCRP (Progetto di Investigazione sulla corruzione e il crimine organizzato) e pubblicata come documentario online, aveva rivelato non solo gravi carenze nelle indagini ufficiali, ma anche un presumibile coinvolgimento dei servizi segreti nell’omicidio.
La verità ancora lontana
Ben lungi dall’essere giunte alla loro conclusione, le nuove rivelazioni nelle indagini accrescono le diffuse preoccupazioni riguardo il clima di impunità nei confronti delle aggressioni perpetrate contro chi, in nome della libertà di stampa ed espressione, sfida i potenti in Ucraina.
Il possibile coinvolgimento del SBU, inoltre, apre un capitolo politico che potrebbe far luce, almeno in parte, sulle complicate trame tra il potere ed i servizi segreti. Anche se in passato il governo di Porošenko era stato oggetto di continue critiche mosse dalla percezione di una mancanza di progressi nella risoluzione del caso, ad oggi non è ancora chiaro fino a che punto il nuovo presidente Zelensky sia disposto a scoprire tutte le carte che potrebbero gettare serie ombre sul ruolo dei servizi segreti nella politica ucraina.
Con l’accusa che nelle ultime settimane sembra sempre meno disposta a premere sull’acceleratore e con una parte dell’opinione pubblica schierata a sostegno dei veterani di guerra sospettati nell’omicidio, il rischio di vedere il caso sgretolarsi appare concreto. Potremmo non sapere mai chi sia il vero mandante.
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