L’ultima condanna a morte pronunciata in Bielorussia risale al 10 gennaio 2020: i fratelli Ilja e Stanislav Kostev, rispettivamente di 21 e 19 anni verranno giustiziati per l’omicidio di un’insegnante. Lo riporta il Servizio europeo per l’azione esterna denunciando, ancora una volta, il ricorso alla pena di morte nel paese.
Solamente due giorni prima l’Unione Europea rafforzava i rapporti con Minsk firmando un accordo di facilitazione del rilascio dei visti dopo anni di negoziati; le trattative andavano avanti dal 2014 e sono state oggetto di numerosi rallentamenti anche a causa delle violazioni dei diritti umani in Bielorussia. In questo senso, sembrerebbe che l’UE abbia cambiato il modo di rapportarsi col paese, preferendo avanzare le relazioni con maggior pragmatismo. Tuttavia, viene da domandarsi fino a che punto Bruxelles sia disposta a rinunciare ai valori che caratterizzano da sempre i suoi rapporti con paesi terzi.
L’ultimo paese in Europa ad applicare ancora la pena capitale
La Bielorussia è l’ultimo paese nel continente europeo e tra quelli post-sovietici ad applicare ancora la pena di morte. Retaggio dell’epoca sovietica, dal 1991 a oggi si contano più di 400 condanne nel paese. Le ripetute esortazioni da parte della comunità internazionale in favore dell’abolizione o di una moratoria su questo tipo di sentenze sono state continuamente ignorate o rigettate dalle autorità bielorusse.
Nel 1996, un referendum chiedeva ai bielorussi la loro opinione sull’abolizione della pena capitale, ma la questione è passata in secondo piano dato che con l’occasione i cittadini avrebbero votato anche altri cambiamenti alla costituzione. Il presidente bielorusso Lukašenko fa riferimento principalmente a questo referendum per rifiutare l’abolizione della pena capitale, sostenendo di fare gli interessi della volontà popolare dei bielorussi, che tutt’oggi sembrano largamente favorevoli a questo tipo di pena. L’ultima dittatura in Europa, come viene spesso definito il paese, applica oggi la pena capitale in caso di omicidio con circostanze aggravate, esentando donne, minori e anziani. Infatti, dall’introduzione dell’ergastolo nel 1998, le sentenze a morte si sono drasticamente ridotte, ma continuano ad essere emesse più o meno regolarmente.
La pena di morte è una pratica inefficace e crudele per combattere il crimine, oltre che a costituire una violazione dei diritti umani universali, e in Bielorussia è accompagnata a una seria violazione dei diritti dei detenuti. Al fine di estorcere informazioni, i sospettati vengono sottoposti a pressioni psicologiche e torture fino alla confessione e anche i processi non sono attendibili e trasparenti. Per di più, i condannati a morte sono tenuti in isolamento, in celle dove non viene permesso loro di sdraiarsi o sedersi sul letto al di fuori delle ore designate al sonno, e sottoposti a ulteriori violenze psicologiche e non. I condannati hanno diritto alla visita di un solo parente stretto al mese, durante le quali possono parlare soltanto di questioni riguardanti la famiglia, ma non del loro caso. L’esecuzione avviene senza avvertimento, con uno sparo alla nuca, e la famiglia viene informata solamente mesi dopo; ai più fortunati arriva un pacco a casa con gli oggetti personali del deceduto, ad alcuni nemmeno quello. Il corpo poi, non viene restituito alla famiglia e non è dato sapere dove è stato seppellito.
Tutto è trattato in gran segreto, niente trapela al di fuori del castello ottocentesco di Piščalauski, il campo di detenzione di Minsk in cui vengono portati i condannati a morte prima dell’esecuzione. Le informazioni a disposizione della società civile e delle organizzazioni internazionali sono ridotte, se non inesistenti, e così non è possibile sviluppare un dibattito pubblico sulla questione. Nonostante la posizione ferma, il regime di Lukašenka ha istituito nel 2012 un gruppo di lavoro parlamentare sulla possibilità di abolire questo tipo di condanna, che però è stato finora inefficace nel suo scopo.
La questione sembra destinata a rimanere irrisolta, così come quella per il rispetto dei diritti umani e della libertà di espressione. In questo contesto, e paradossalmente, i rapporti con l’UE sono migliorati, nonostante finora fossero traballanti proprio a causa della riluttanza della Bielorussia ad adottare standard più accettabili in materia di diritti. Per questo viene da chiedersi se l’UE abbia rinunciato ad una politica più dura nei confronti di Minsk o se effettivamente abbia qualche ragione valida per giustificare questo riavvicinamento.
UE e Bielorussia: i diritti umani sacrificati per il pragmatismo?
Quello che contraddistingue la Bielorussia rispetto ad altri paesi dello spazio post-sovietico è la sua riluttanza ad aprirsi alle richieste comunità internazionale per proteggere gli ideali e le tradizioni di un’epoca passata.
Per questo motivo Minsk non è mai entrata a far parte del Consiglio d’Europa e ha il mero stato di osservatore nell’Organizzazione mondiale del commercio. Ha sempre favorito, invece, organizzazioni che intensificassero l’integrazione con la Russia, come la Comunità degli stati indipendenti o l’Unione economica eurasiatica, nonostante non manchino gli attriti con il grande vicino.
Nonostante ciò, Minsk ha allacciato i rapporti con l’UE, nel contesto del partenariato orientale, soprattutto con la speranza di migliorare la propria situazione economica, ma anche per bilanciare le relazioni con Mosca. Al contrario, Bruxelles ha cercato nel tempo di imporre una condizionalità volta a migliorare la situazione di stato di diritto, diritti umani e democrazia nel paese. L’approccio divergente con cui entrambi gli attori hanno intrapreso i rapporti nel quadro del partenariato orientale non ha permesso, però, alle relazioni di svilupparsi adeguatamente. Soprattutto, a risentirne sono stati i finanziamenti UE al paese che hanno nel tempo riflesso lo stato dei rapporti tra i due attori e risultano di gran lunga inferiori rispetto a quelli allocati ad altri paesi del vicinato orientale.
Nelle relazioni con Minsk, l’UE si è sempre posta come obiettivo di fermare la politica di repressione della società civile e di violazione dei diritti umani nel paese; per questo motivo, le ha imposto le sanzioni nel 2004, dopo la sparizione di due oppositori politici. Risale poi al 2011 l’embargo sulle armi, imposto per evitare la soppressione violenta della società civile dopo che il regime di Lukašenko aveva represso le manifestazioni scaturite in seguito ai risultati delle elezioni l’anno prima.
Nel 2016, l’UE ha deciso di togliere le sanzioni a 170 bielorussi (tra cui il presidente) e tre società come conseguenza dell’assenza di violenze post-elezioni presidenziali e parlamentari, rispettivamente nel 2015 e nel 2016, e del rilascio di sei prigionieri politici. Un’ulteriore fatto che ha influenzato la decisione dell’UE è stato che da quasi due anni Minsk non emanava una sentenza di morte, ma soprattutto un ruolo importante ha giocato il nuovo approccio europeo al partenariato orientale dopo gli episodi di prepotenza russa in Crimea e in Donbass nel 2014. In questo senso, l’UE ha iniziato ad applicare un approccio più pragmatico con la Bielorussia, di fatto soddisfacendo almeno in parte le intenzioni di Minsk.
Il giorno dopo che l’UE ha sollevato le sanzioni, la Corte regionale di Minsk ha emanato la sua seconda condanna di morte del 2016; questa è una delle dimostrazioni che ogni volta che riesce a ottenere qualche concessione dell’UE, Lukašenka poi mostra di non sottostare alle condizioni europee.
Invece, Bruxelles sta cercando di far capire ai bielorussi che un maggior rispetto dei diritti umani comporterebbe un miglioramento delle condizioni socio-economiche. Tramite un significativo sostegno alla società civile, fortemente indebolita nel paese, e alla ricerca e mobilità, l’UE sta cercando di normalizzare le relazioni tra cittadini bielorussi ed europei. Allo stesso modo, Bruxelles tenta di essere pragmatica nei suoi rapporti con Minsk aprendo alla possibilità di firmare un accordo per la facilitazione dei visti, a vantaggio dell’economia e dei cittadini. I negoziati per l’accordo sui visti vanno avanti ormai dal 2014; a discapito di una gran parte della società bielorussa dato che solo nel 2017 almeno il 7,5% della popolazione ha ottenuto un visto Schengen.
In questo modo, l’UE punta a migliorare le relazioni con Minsk nel lungo periodo, facendo delle concessioni e riducendo la condizionalità al minimo nel breve termine. La speranza sembra quella di poter mostrare ai bielorussi i benefici della cooperazione tra le due parti e cercare di sensibilizzarli anche sulle tematiche riguardanti i diritti umani. Questa strategia europea potrebbe riuscire a far breccia nella testardaggine di Lukašenka, e soprattutto a non indispettire la Russia, come successo in Georgia e Ucraina. Allo stesso tempo però, la situazione dei diritti umani non migliora e un approccio del genere rischia soltanto di peggiorarla e di scoraggiare quella fetta della società già avvilita che chiede un cambiamento.
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