La storia vuole che quel giorno a Tirana arrivò tutto il governo albanese, guidato da Sulejman Delvina, diventato primo ministro solo una manciata di giorni prima. L’accoglienza della gente fu calorosa, l’orgoglio di campanile era alle stelle e non poteva essere diversamente: Tirana stava diventando capitale dell’Albania, era l’11 febbraio del 1920, 100 anni fa.
La città del futuro
Oggi, invece, possiamo dire che c’è anche un pezzo di Italia nel futuro prossimo della città: quello rappresentato dall’architetto milanese Stefano Boeri che per la capitale albanese ha disegnato il nuovo piano urbano, denominato TR2030. Un piano che traguarda proprio il 2030 come anno di completamento di un percorso che ha l’ambizione di trasformare Tirana in una città ecosostenibile coniugando cultura, società e geopolitica.
Per il momento Tirana si è appena apprestata a officiare i festeggiamenti di rito riconoscendo, per bocca del suo primo cittadino, il quarantenne socialista Erion Veliaj, che, “non è una città perfetta ma ha l’aspirazione di diventare una città moderna”. Una consapevolezza e una determinazione che sono comunque un punto di partenza, la base indispensabile perché il nuovo progetto possa effettivamente trovare pieno compimento, sfruttando anche l’impulso che presumibilmente si genererà dall’essere stata scelta come capitale europea della gioventù nel 2022.
E la base della Tirana di oggi è quella di una città il cui tessuto urbano è il risultato della stratificazione del periodo coloniale fascista e degli architetti italiani che ne definirono la struttura moderna secondo il primo piano regolatore del 1923, con quella comunista del secondo dopo guerra, con i nuovi palazzi in stile sovietico, tra i quali il Palazzo della Cultura e quello dei Congressi. Con la fine dell’era comunista, nel 1990, un periodo di accrescimento caotico e non regolamentato ha prodotto una città vivace ma confusa, intasata di auto e di traffico e con una popolazione quadruplicata in vent’anni.
E’ con questa situazione che ci si trova a fare i conti, adesso, ed è in questo contesto che è maturato il nuovo piano di sviluppo cittadino, partendo dal re-inventarne il cuore pulsante, piazza Skanderbeg, come la più grande isola pedonale dei Balcani. E immaginandosi una città policentrica con una rete di nuove piazze, di nuove attività e di servizi al cittadino, come parchi e spazi pubblici (sono previste 20 nuove scuole a sanare il cronico fabbisogno della popolazione), che coinvolgano soprattutto i quartieri più periferici della città, quelli storicamente più penalizzati. Una città più verde con la creazione di una cosiddetta “foresta orbitale”, ovvero di un bosco di due milioni di piante tutt’intorno Tirana, ma anche di politiche di incentivazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili e di rafforzamento del trasporto pubblico.
Le critiche
Il problema principale di un piano così “temerario” è legato, ovviamente, al reperimento delle risorse economiche necessarie per finanziarlo. In un paese così povero e, conseguentemente, così poco attraente per gli investitori privati e per il libero mercato, la soluzione individuata è quella del ricorso a partenariati pubblici-privati: il privato raccoglie i soldi con cui finanzia le opere, la città le ripaga a rate con gli interessi nel corso degli anni.
Una soluzione che lascia più di una perplessità e sulla quale si sono concentrate, infatti, la maggior parte delle critiche da parte dei detrattori: da una parte c’è la preoccupazione che questo meccanismo possa essere utilizzato per il riciclo di denaro proveniente da attività illecite, d’altro, più pragmaticamente, si teme che esso possa trasformarsi in una tassa sul futuro, un conto permanente gravante sulle generazioni a venire. Critiche che vengono liquidate come figlie dello “sport nazionale del cinismo e delle teorie cospiratorie” da parte di Veliaj che promette, di converso, un rigoroso monitoraggio finanziario.
“Modernizzare la città ad ogni costo”
La storia racconta, anche, che Tirana divenne capitale, un po’ per caso un po’ per sorte: Durazzo era occupata dagli italiani da sempre “di casa” da quelle parti, il governo non poteva restare lì; Valona, già capitale dopo l’indipendenza del 1912, era troppo a sud e troppo lontana da Kosovo e Macedonia; l’esatto contrario di Scutari, sebbene all’epoca fosse la città più grande. Tirana fu scelta, quindi, quasi per esclusione e grazie alla sua posizione perfetta, nel cuore del paese. Doveva essere una soluzione temporanea, ma come spesso accade non c’è nulla di più definitivo di qualcosa che inizialmente non deve esserlo.
Cento anni dopo Tirana è una capitale che cerca di reinventarsi e con un sindaco che non intende fermarsi di fronte al proprio proposito di “modernizzarla ad ogni costo”.
In questo Veliaj ricorda da vicino la determinazione e la volontà di un suo illustre predecessore, Edi Rama, l’attuale primo ministro albanese, anch’egli socialista: Rama, sindaco per ben tre mandati consecutivi tra il 2000 e il 2011, mise le basi per la trasformazione di Tirana, cominciando dall’abbattimento della miriade di strutture abusive sorte negli anni ’90 e portando avanti, tra l’altro, un piano di edilizia sociale.
Si tratta, ora, di vedere se Veliaj saprà dare un impulso altrettanto decisivo alla propria città, portandola definitivamente in Europa.