Da ormai più di un mese si stanno consumando in Montenegro imponenti proteste relative all’approvazione, lo scorso 27 dicembre, di una legge tesa a regolare i rapporti tra lo stato montenegrino e le comunità ecclesiastiche. Le proteste sono guidate dal Metropolita del Montenegro Amfilohije Radović e dal clero ortodosso serbo che, due volte a settimana, sfila in processione con i propri fedeli nella capitale Podgorica intimando al governo di ritirare la contestata norma.
Cosa prevede la legge
Ad opporre stato montenegrino e Chiesa ortodossa serba sono gli articoli della legge che prevedono una (ri)definizione dei diritti di proprietà delle comunità religiose. Quest’ultime sono tenute a fornire documenti ufficiali con data antecedente al 1918 che dimostrino i diritti di proprietà degli immobili posseduti, pena il passaggio della proprietà allo stato.
Nel 1918 con l’annessione del Regno del Montenegro al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, la Chiesa ortodossa montenegrina, rimasta fino ad allora indipendente, cadde sotto il controllo del Patriarcato serbo che prese possesso anche dei beni immobili. Per la Chiesa ortodossa serba è quindi praticamente impossibile fornire i documenti richiesti dallo stato montenegrino per il semplice fatto di non aver posseduto prima del 1918 i circa 66 monasteri oggetto della contesa. Nel paese inoltre esistono due chiese ortodosse: quella montenegrina, fondata nel 1993 e formalmente non riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli, e quella serba. Una frattura che si ripercuote anche a livello politico con il governo di Podgorica sostenitore dell’esistenza di un’identità montenegrina e i partiti di opposizione filo-serbi che invece la rinnegano.
Le proteste
Sin dal primo momento, l’opposizione al provvedimento ha assunto toni particolarmente accesi e spesso violenti. Durante la votazione in parlamento del 27 dicembre, 18 membri del Fronte Democratico del Montenegro (DF), principale partito di opposizione filo-serbo, sono stati arrestati per le violenze scoppiate all’interno dell’aula. Pochi giorni dopo, le violenze si sono spostate nelle piazze con polizia e manifestanti che, il 30 dicembre, si sono scontrati nella capitale Podgorica e nella vicina città di Zeta.
Le proteste sono proseguite durante tutto il periodo del Natale ortodosso (7 gennaio) e hanno coinvolto anche la Serbia, dove gli ultras della Stella Rossa hanno dato vita a diverse manifestazioni di fronte l’ambasciata montenegrina. La contestazione è sostenuta dal quartier generale della Chiesa ortodossa serba guidato dal Patriarca Irinej e dal presidente serbo Aleksandar Vučić. Bisogna però sottolineare come il rapporto tra Belgrado e Radović, noto oppositore del presidente serbo, si basi più sulla sfiducia reciproca che sul coordinamento e la collaborazione.
Nonostante ciò, nelle ultime settimane migliaia di persone sono scese in piazza nelle manifestazioni organizzate nella capitale Podgorica così come a Budva, seconda città del paese, e Cetinje, sede della Metropolia del Montenegro e del Litorale. Anche in questo caso non sono mancati momenti di tensione con incidenti e arresti da parte della polizia.
Lo scontro con Belgrado
Il clima rovente che si respira nelle piazze è stato alimentato dal comportamento degli attori istituzionali, sia in Serbia che in Montenegro, che non hanno perso occasione per accusarsi a vicenda. Inizialmente il premier montenegrino Milo Đukanović aveva affermato di voler “restituire allo stato ciò che è stato illegalmente alienato da esso” e che “il nazionalismo della Grande Serbia non si è mai riconciliato con l’indipendenza montenegrina” avvenuta nel 2006 in seguito ad un referendum popolare. Dal canto suo il presidente serbo Vučić aveva ribadito che “per la Serbia è essenziale rispondere alla fervida campagna di assimilazione” senza per questo voler mettere a repentaglio lo status giuridico-statale del Montenegro.
Alle dichiarazioni sono seguite alcune azioni che hanno seriamente messo a repentaglio i rapporti tra i due paesi come il rifiuto dei rispettivi ambasciatori di ricevere note ufficiali di protesta o la rinuncia dello stesso premier Vučić a partecipare alle celebrazioni del Natale ortodosso in Montenegro. Dopo un primo momento di scontro frontale, alla fine di gennaio è stato avviato un tentativo di compromesso sia dal governo montenegrino che dalla Chiesa ortodossa serba con l’indizione di colloqui diretti cui ha fatto seguito un incontro bilaterale tra Đukanović e Vučić.
Probabilmente anche grazie all’intervento diretto dell’Unione Europea tramite il proprio Commissario per l’allargamento e la politica di vicinato Olivér Várhelyi in visita sia a Belgrado che a Podgorica, negli ultimi giorni è arrivata una netta apertura dal presidente Đukanović che per la prima volta ha parlato esplicitamente di rinvio temporaneo nell’attuazione della legge.
Questa apertura sembra essere in realtà frutto di un cinico calcolo politico del presidente montenegrino. Il prossimo autunno infatti il Montenegro sarà chiamato alle urne per le elezioni politiche e, secondo un recente sondaggio, oltre il 60% dei cittadini montenegrini si è dichiarato contrario alla legge e solo il 20% favorevole. La paura di poter perdere le elezioni potrebbe quindi spingere Đukanović a trovare un compromesso ed evitare un’ulteriore escalation delle proteste. In questo potrebbe, paradossalmente, trovare un alleato proprio in Vučić, anch’esso alle prese con elezioni politiche ad aprile.
Foto: Twitter / SavaJanjić