A ormai sei anni di distanza dall’annessione illegale della Crimea da parte della Federazione russa, il processo di integrazione pare si stia verificando non senza intoppi. In questo contesto, l’emergenza idrica all’interno della penisola è il risultato lampante della totale dipendenza della Crimea dalla Russia. Ciononostante, questo allarmante fenomeno tutt’altro che nuovo sembra destare solamente marginali preoccupazioni da parte di Mosca, così come è testimoniato dalla quasi totale assenza di dati ufficiali (non manipolati) da parte delle autorità locali. Paradossalmente, il referendum popolare che determinò la sorte della Crimea ha dato origine a un controproducente isolamento, e ora è tempo di pagarne le conseguenze.
Vecchie problematiche, nuove responsabilità
Le particolarità geografiche presentate della penisola costituivano un limite già ai tempi dell’Unione Sovietica: tra le principali ragioni per cui nel 1954 Nikita Chruščëv optò per il trasferimento amministrativo della Crimea all’allora Repubblica Socialista Sovietica Ucraina ci fu proprio l’incapacità di garantire l’afflusso di risorse idriche. Per far fronte a questo problema venne costruito un canale che trasportasse l’acqua proveniente dal fiume Dnepr, il quale scorre nell’entroterra ucraino. Questa preziosa risorsa sostentava i bisogni locali in misura pari all’85%, compensando dunque la quasi totale assenza di capacità idriche naturali nella regione.
In risposta all’occupazione russa della Crimea avvenuta nel 2014, l’Ucraina ha bloccato l’accesso al canale principale, aggravando ulteriormente le tensioni tra i due paesi e lasciando la Russia con la responsabilità di scongiurare un disastro ambientale. L’operato di Mosca è stato a dir poco controverso, poiché il Cremlino non solo ha dato priorità al finanziamento di progetti infrastrutturali per connettere la penisola con la Russia continentale, ma ha usato questo escamotage per distogliere l’attenzione dai retroscena che si sarebbero potuti rivelare potenzialmente dannosi per mantenere un ampio consenso popolare.
Un parere condiviso dagli esperti sostiene che non siano i fondi per la realizzazione di progetti di approvvigionamento idrico a scarseggiare, ma piuttosto il problema sia rappresentato dalla mancanza dei progetti stessi e dall’incapacità delle autorità locali di distribuire questi fondi in maniera efficiente e rapida. Una prospettiva diametralmente opposta viene, invece, propagandata dal Presidente del Comitato statale per la gestione delle risorse idriche e la bonifica della Repubblica di Crimea, Igor Vail, il quale esclude la possibilità che un’emergenza idrica possa verificarsi, parlando di autosufficienza fino al mese di giugno. Questo ultimo commento esemplifica la retorica ufficiale del Cremlino, la quale richiede che i media filorussi promuovano un’immagine positiva delle questioni che coinvolgono la penisola, senza che queste corrispondano necessariamente al vero.
Gli effetti causati dall’ emergenza idrica
Secondo quanto riportato dai funzionari della Repubblica di Crimea, l’effetto derivante dalla chiusura del canale a nord della penisola non ha portato a risultati drammatici. Le autorità russe hanno contrastato il rischio di un potenziale disastro naturale attraverso la costruzione di impianti di estrazione e pozzi. Ad ogni modo, l’inadeguatezza di questi mezzi non ha tardato a presentarsi: lo sfruttamento intensivo di acqua fresca attraverso l’estrazione dal sottosuolo fa sì che questa venga sostituita da acqua salata. Si deduce che gli abitanti della penisola siano costretti a bere dell’acqua malsana. Inoltre, l’elevata siccità dei mesi estivi e le scarse precipitazioni invernali non permettono che si compia il naturale ciclo di sostituzione delle risorse sotterranee.
La scarsità di risorse idriche combinata ai cambiamenti climatici che stanno avvenendo su scala globale contribuisce ad accelerare inevitabilmente la trasformazione dell’ecosistema. Inoltre, le immagini raffiguranti il deterioramento dei terreni coltivabili a causa della progressiva salinizzazione confermano come il settore agricolo sia ridotto allo stremo. Infine, la somma degli effetti prodotti da una catastrofe ecologica di tale portata con buone probabilità avrà ripercussioni decisive sulla popolazione, la quale molto presto potrebbe vedersi costretta a migrare altrove per poter sopravvivere.
Quale strategia per la Russia?
Allo stato attuale, sono tre gli scenari che potrebbero (secondo gradi diversi) porre rimedio all’emergenza idrica nella penisola. Una prima possibilità supporterebbe la costruzione di impianti di desalinizzazione, anche se questa opzione è da ritenersi poco probabile se si considera la notevole spesa economica. Una seconda, invece, vedrebbe la Russia avanzare un intervento militare per assicurarsi l’accesso al canale nella Crimea settentrionale. Sebbene possa ritenersi una mossa che rischierebbe di sabotare i rapporti tra Russia e Ucraina, questo scenario è già stato testato nel conflitto del Donbas, con la scusa di assistere e andare in aiuto ai cittadini russi. Il terzo – e potenzialmente il più probabile e auspicabile – scenario consiste nella normalizzazione delle relazioni tra i due paesi, ipotizzando un cambio di rotta nella strategia ucraina come lascia presagire la nomina del nuovo responsabile per la strategia ucraina Dmitrij Kozak.
In questo quadro, la posizione che Kiev deciderà di assumere sarà decisiva per la sorte della Crimea. Recentemente, la maggioranza parlamentare ucraina ha avanzato la possibilità di negoziare con Mosca per la vendita di acqua alla Crimea. Le organizzazioni per la protezione dei diritti umani si dicono alquanto preoccupate in merito. Infatti, la realizzazione di questa ipotetica soluzione equivarrebbe a rafforzare il controllo della Russia sulla penisola. A prescindere dagli sviluppi della crisi idrica in Crimea, non esiste un’alternativa né semplice né tantomeno economica all’acqua proveniente dall’Ucraina.
Foto: Krymr.org