DA BRUXELLES – Come ogni anno ILGA-Europe, la sezione europea dell’organizzazione internazionale che riunisce centinaia di gruppi LGBT da tutto il mondo, ha presentato a Bruxelles il suo rapporto annuale sulla situazione delle comunità LGBT in Europa e in Asia Centrale. La presentazione della ricerca è avvenuta il 4 febbraio presso il Parlamento Europeo, ed è stata poi seguita dalla prima riunione dell’intergruppo sui diritti LGBT formatosi dopo l’insediamento della nuova legislatura.
Basandoci sul nuovo rapporto di ILGA-Europe, qui sotto riportiamo i principali trend del 2019 riguardo ai diritti LGBT nell’area est-europea, seguiti dalle testimonianze di 3 attiviste provenienti dalla regione intervenute al Parlamento Europeo.
Tra omofobia di stato ed emigrazione forzata
Secondo il rapporto di ILGA-Europe, l’anno 2019 sarebbe stato caratterizzato in tutta la regione est-europea da un importante aumento del discorso di odio nei confronti delle minoranze LGBT, spesso veicolato da personalità politiche e religiose. Un caso esemplare è quello della Polonia, paese in cui la retorica anti-LGBT del partito Diritto e Giustizia (PiS) ha portato oltre 80 municipalità e governi locali a dichiararsi “liberi dall’ideologia LGBT“.
Il discorso d’odio inevitabilmente si traduce in episodi di violenza fisica nei confronti di persone LGBT, di cui ILGA-Europe riporta abbondanti esempi nella regione, e che si intensificano in corrispondenza di eventi pubblici come i Pride. La crescente presenza nello spazio pubblico di gruppi neo-nazisti, anti-gender e anti-LGBT non solo durante i Pride, ma anche durante le proiezioni di film a tema LGBT (com’è accaduto lo scorso novembre in Georgia) è un altro trend evidenziato da ILGA-Europe.
Soprattutto nei paesi del Caucaso e dell’Asia Centrale si sottolinea la violenza sistemica perpetrata dalle forze di polizia nei confronti delle persone LGBT, specialmente uomini gay e persone trans. In Cecenia, ad esempio, i casi di detenzione illegale, omicidio e tortura di persone omosessuali sono tornati ad essere d’attualità anche nel 2019.
Nell’ultimo anno è anche aumentata l’emigrazione di persone LGBT da paesi come Albania, Bosnia Erzegovina, Tajikistan e Turkmenistan (in quest’ultimo paese, l’omosessualità è ancora oggi punibile con il carcere), verso paesi vicini considerati più “LGBT-friendly”. Infine, il rapporto di ILGA-Europe evidenzia anche alcuni passi indietro riguardo ai diritti delle “famiglie arcobaleno”: in Romania, il senato ha respinto due proposte di legge sulle unioni civili per le coppie omosessuali, nonostante il clamoroso fallimento nel 2018 di un referendum per la “famiglia naturale”.
Alla luce di un quadro prevalentemente negativo, è importante sottolineare che la situazione est-europea non è un’eccezione ma piuttosto parte integrante di un trend più ampio di reazione anti-LGBT (ciò che gli anglofoni chiamano ‘backlash‘) osservabile su tutto il continente – come riportato da ILGA-Europe.
PER APPROFONDIRE: la nostra sezione dedicata a LGBT e Questioni di Genere
Testimonianze dal campo: i diritti LGBT in Bulgaria, Bosnia e Polonia
Durante la presentazione del rapporto di ILGA-Europe al Parlamento Europeo sono intervenute le attiviste per i diritti LGBT Lilya Dragoeva, direttrice della Bilitis Foundation (la prima organizzazione LGBT creata in Bulgaria), e Emina Bošnjak, direttrice del Sarajevo Open Centre (organizzazione LGBT e femminista bosniaca), per dare un’idea più dettagliata della situazione della comunità LGBT nei rispettivi paesi.
Lilya Dragoeva ha definito la Bulgaria un “terreno di gioco per i discorsi anti-gender, che si intrecciano con la propaganda anti-UE”, sebbene quello bulgaro sia un caso molto meno mediatizzato rispetto a quello polacco o ungherese. Nel 2018 la Corte costituzionale bulgara aveva dichiarato la Convenzione di Istanbul (che combatte la violenza contro le donne e la violenza domestica) “contraria alla costituzione”; nel 2019, invece, a seminare il panico “anti-gender” nel paese è stata la nuova Strategia Nazionale per l’Infanzia (poi abbandonata dal governo). Secondo un argomento caro ai gruppi anti-LGBT (bulgari e non solo), questa avrebbe portato alla “distruzione della famiglia” facilitando l’adozione dei bambini bulgari “da parte di coppie omosessuali nei paesi del nord Europa”. L’attivista ha aggiunto che nel paese si diffonde una retorica sempre più ostile verso le organizzazioni della società civile, mentre nascono nuove ONG pseudo-indipendenti, favorevoli ai valori della “famiglia tradizionale”.
L’organizzazione del primo Pride di Sarajevo, tenutosi – senza incidenti – nel settembre 2019, è stata invece un’importante vittoria del movimento LGBT in Bosnia Erzegovina, come ha spiegato Emina Bošnjak. L’attivista ha però ricordato che il discorso d’odio e gli attacchi fisici nei confronti delle persone LGBT sono aumentati nel paese proprio in seguito all’annuncio dell’evento – in assenza di una legge che regoli il discorso di odio e a causa di una generale mancanza di sostegno alla comunità LGBT da parte delle autorità. In particolare, l’attivista ha denunciato l’impunità dilagante per chi commette crimini d’odio, spesso senza che venga riconosciuto il movente omofobico o transfobico.
Sulla questione dei crimini d’odio si è espressa anche l’attivista polacca Mirosława Makuchowska dell’ONG Kampania przeciw homofobii (Campagna contro l’omofobia), intervenuta nel corso della riunione dell’intergruppo europarlamentare sui diritti LGBT. Makuchowska ha sottolineato la necessità di una direttiva europea sui crimini d’odio che assicuri pari garanzie alle persone LGBT nei vari stati membri. Apprezzando la recente risoluzione del Parlamento Europeo che condanna l’istituzione delle “zone libere da LGBT” in Polonia, l’attivista ha anche chiesto alle istituzioni europee di mantenere salda la propria posizione in sostegno allo stato di diritto nel paese. Makuchowska si è comunque detta fiduciosa riguardo al futuro della comunità LGBT in Polonia: “nonostante tutti gli attacchi, il movimento LGBT non è mai stato così attivo negli ultimi 20 anni“.
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Immagine: Kafkadesk