L’esperienza del governo del primo ministro sloveno in carica, Marjan Šarec, il più giovane della storia del paese, è finita dopo solo un anno e mezzo. Lunedì 27 gennaio, Šarec ha rimesso il proprio mandato e inviato le sue dimissioni all’Assemblea Nazionale, aprendo formalmente la crisi.
Le elezioni del 2018
Nato a seguito delle elezioni del giugno del 2018 ma ufficialmente entrato in carica solo a settembre dopo mesi di estenuanti trattative, era chiaro fin da subito che per il governo non sarebbe stato facile arrivare a fine legislatura. La coalizione che lo componeva, infatti, un pentapartito formato dalla Lista Marjan Šarec (LMS), Socialdemocratici (SD), Partito del Centro Moderno (SMC), Pensionati del DeSUS e Partito Alenka Bratušek, poteva contare su una maggioranza risicatissima: soli 46 seggi sui 90 totali, con un appoggio variabile della sinistra.
Oltretutto essa si configurava più come un fronte di “salvezza nazionale” contro l’avanzata della destra populista rappresentata dal Partito Democratico Sloveno (SDS) e dell’estrema destra del Partito nazionalista sloveno, che come un’alleanza coesa e compatta, con una visione comune e una prospettiva condivisa.
Le elezioni del giugno 2018, infatti, erano state dominate dall’SDS, ma il leader del partito ed ex-primo ministro, Janez Janša, non era stato in grado di coagulare una maggioranza attorno ad un progetto incentrato su nazionalismo, lotta all’immigrazione ed euro-scetticismo e culturalmente assai vicino alle posizioni del cosiddetto Gruppo di Visegrád. La palla era passata, dunque, proprio a Šarec: sebbene la lista a suo nome avesse raccolto meno della metà dei voti del Partito Democratico (circa il 12% contro il 25%) essa risultava, infatti, il secondo partito più votato, a conferma dell’endemica atomizzazione del quadro politico sloveno. Nonostante la scarsa esperienza politica, essendo noto al pubblico per la sua carriera di comico e satirico politico, Šarec era così riuscito a formare una variegata coalizione e diventare primo ministro.
I dissidi interni alla maggioranza
Dopo mesi di fibrillazioni tra i partiti membri dell’esecutivo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le dimissioni del ministro delle Finanze, Andrej Bertoncelj, ufficialmente per ragioni personali, nella realtà legate al profondo dissidio interno scaturito dalla proposta di Šarec di coprire con soldi pubblici le perdite del servizio sanitario nazionale, proposta che si inquadra in un percorso di nazionalizzazione dell’intero sistema sanitario a discapito di quello privato (la riforma sanitaria era uno degli elementi cardine della proposta della LMS).
Le dimissioni di Bertoncelj sono solo le ultime di una lunga serie (ben quattro ministri hanno lasciato solo nei primi sei mesi) a testimonianza della connaturata litigiosità dell’alleanza di governo e delle tensioni che sono poi deflagrate con la rinuncia di Šarec.
Una mossa per certi versi a sorpresa visto che lo stesso premier aveva dichiarato solo pochi giorni fa di non vedere alcuna ragione per lasciare; ma una mossa che potrebbe anche nascondere il tentativo dell’ormai ex-premier di smarcarsi da una coalizione che, oltre a perdere pezzi, perdeva progressivamente fiducia tra gli sloveni (passata dall’iniziale 70% a poco più del 50%, prima delle elezioni europee dello scorso anno) e che pertanto rischiava di “bruciarlo” sull’altare di una governabilità ai limiti del possibile.
Un azzardo?
In questo senso il gesto di Šarec, al di fuori dalla vulgata comune che lo vuole flemmatico ma al contempo pragmatico, appare più un azzardo finalizzato alla propria “sopravvivenza” politica che un rischio calcolato: e sottende, forse, il tentativo di passare all’incasso di un possibile incremento di consenso della propria lista che alcune rilevazioni davano, solo un anno fa, addirittura oltre il 30%.
Resta la considerazione, tuttavia, che alle elezioni europee del maggio scorso, LMS non è andata oltre il 15% mentre SDS ha convinto, insieme al Partito Popolare Sloveno (SLS), il 26% degli elettori. Sebbene ridimensionato da una fortissima astensione, il confronto è stato comunque rappresentativo, soprattutto in ragione del fatto che esso si è svolto con un sistema puramente proporzionale, ideale per misurare i veri rapporti di forza.
Un azzardo, dunque, e non solo per le ragioni già dette. Ma anche perché, sebbene assai probabili, le elezioni anticipate non sono il solo finale possibile. Šarec le ha chieste esplicitamente definendole come “l’unica cosa onesta da fare” e rassicurando circa il fatto che potrà “fare quello che i cittadini si attendono solo dopo le elezioni”, dimostrando, così, di essere già in piena campagna elettorale.
Ma è il presidente della Repubblica, Borut Pahor, a guidare le danze, adesso. E Pahor ha doverosamente iniziato un giro di consultazioni per verificare la possibilità di trovare una nuova soluzione e un nuovo governo. Ovvio, a questo punto, che l’esperto Janša tornerà in campo e che farà del suo meglio per giocarsi la partita.