L’organizzazione internazionale non governativa Human Rights Watch (HRW) ha recentemente pubblicato il suo rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani in quasi 100 paesi del mondo. Tra questi figurano anche Bielorussia, Russia e Ucraina, regioni alle porte d’Europa di cui ci occupiamo e dove i diritti umani rimangono ancora ben lontani dall’essere tutelati e difesi. Eppure, anche di fronte alle politiche repressive e agli scarsi risultati ottenuti, sono cresciuti attivismo e proteste, un coro di voci che si batte per chiedere giustizia e uguaglianza.
Bielorussia: tra pena di morte, repressioni e discriminazioni
Il capitolo dedicato alla Bielorussia di HRW si apre con la pena di morte. La patria di Aljaksandr Lukašenka è l’unico paese europeo a non aver ancora abolito questa pratica, nonostante le autorità bielorusse e il Consiglio d’Europa abbiano annunciato lo scorso agosto l’intenzione di sviluppare una tabella di marcia verso una moratoria sulla pena capitale. Tre sono le condanne a morte che sono state registrate nel 2019, a cui se ne è aggiunta una quarta lo scorso 10 gennaio con l’esecuzione dei due fratelli Ilja e Stanislav Kostev. Il verdetto, come sottolineano gli attivisti per i diritti umani, viene eseguito da un boia con un colpo alla nuca del condannato; la famiglia non viene informata né del luogo dell’esecuzione, né di quello di sepoltura.
HRW parla anche della mancata libertà di espressione, di informazione e di manifestazione nel paese, citando i ricorrenti attacchi ai giornalisti e le numerose discriminazioni nei confronti della popolazione rom e dei disabili. Il rapporto non fa alcun riferimento a repressioni specifiche nei riguardi della comunità LGBT, ma un recente articolo sul sito dell’organizzazione riporta il brutale attacco omofobico nei confronti del regista Nikolaj Kuprič (che ha prodotto un film su pregiudizi e discriminazioni nei confronti delle persone LGBT dal titolo “Pussy Boys”), che gli ha provocato gravi perdite di memoria.
I diritti umani in Russia: cambiamenti insperati
La situazione dei diritti umani in Russia continua a mantenersi negativa e la lunghezza del capitolo dedicato da HRW lo dimostra. L’aumento dell’attivismo civile e delle proteste ha solo provocato l’ennesima ondata di repressioni, divieti e un inasprimento delle leggi e dei relativi procedimenti amministrativi e penali per motivi politici. L’esempio più recente è quello delle proteste di massa di Mosca della scorsa estate per le “elezioni pulite” alla Duma della città di Mosca. Ma il mancato rispetto dei diritti umani si spinge oltre la sfera prettamente politica e abbraccia anche la vita sociale: dall’ambiente alla vita domestica, dalla libertà di parola alle più diffuse discriminazioni xenofobe e omofobiche.
Le autorità russe hanno continuato a introdurre nuove restrizioni alla libertà di parola, anche online, adottando una legge sul controllo di Internet e una sugli “agenti stranieri“. Anche le persecuzioni religiose dei testimoni di Geova e l’oppressione ai tatari di Crimea (con più di 63 sentenze per atti terroristici) continuano senza sosta nelle repubbliche federali russe e nell’annessa penisola di Crimea.
L’unico raggio di luce nella questione dei diritti umani sembra esser stato rappresentato dai due scambi di prigionieri tra Russia e Ucraina avvenuti rispettivamente a settembre e dicembre 2019. Ma ciò non ha portato, comunque, alla fine del conflitto armato nell’est dell’Ucraina, né a un miglioramento delle condizioni dei rimanenti prigionieri politici rinchiusi nelle carceri russe.
Il focolaio ucraino
Sebbene ci sia stata una diminuzione delle vittime civili, la guerra in corso da 6 anni nei territori a est del paese rappresenta un rischio continuo per la popolazione civile. Un problema sottovalutato e che si aggiunge oggi a violenze e violazioni dei diritti di altra natura.
I media indipendenti continuano a subire pressioni. Da gennaio a luglio 2019 l’Istituto dei mass media (Institut Masovoi informacii) ha documentato almeno 12 casi di attacchi a giornalisti, di cui uno fatale; ha inoltre registrato decine di casi di minacce che ostacolano le attività professionali dei giornalisti. Intimidazioni e casi di violenza si sono verificati anche nei confronti del clero e dei credenti, soprattutto in seguito alla scissione delle due chiese ortodosse ucraine.
Le repressioni persistono anche nei confronti delle minoranze. La violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, sull’appartenenza etnica, linguistica e religiosa, sono tematiche che hanno attirato l’attenzione di moltissime associazioni e organizzazioni locali e internazionali, tra cui OSCE e ONU.
Diritti umani: parlarne per poterli tutelare
Questo trentesimo rapporto mondiale annuale di Human Rights Watch riflette il vasto lavoro investigativo che l’organizzazione indipendente, nata nel 1978, ha condotto durante l’anno in stretta collaborazione con attivisti locali e internazionali al fine di poter riassume le condizioni dei diritti umani nei diversi paesi. Rappresenta solo uno dei tanti modi che ci fanno aprire gli occhi nei confronti dei nostri vicini e capire quanto ancora c’è da lottare per i nostri diritti di base.
Le violazioni della libertà di parola e di movimento, le discriminazioni e i pregiudizi, le misure di sicurezza antiterrorismo e la pena di morte in Bielorussia, ai confini d’Europa, ci rivelano la faglia esistente tra la retorica dei diritti umani e la difficile realtà della loro applicazione.
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