L’11 agosto del 1979 nei cieli della Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina, vicino a Dneprodzeržins’k, si scontrarono due Tupolev dell’Aeroflot. Persero la vita 186 persone. Su uno dei due aerei viaggiava la squadra di calcio del Pakhtakor Tashkent. Fu impossibile anche solo riconoscere i corpi dei 14 giocatori e dei 3 membri dello staff. Fra loro c’era anche Mikhail An, uno dei migliori calciatori sovietici dell’epoca. Guardando il monumento funebre eretto nel cimitero di Tashkent lo si riconosce subito. Ha i capelli neri a caschetto e gli occhi a mandorla: questa è la storia del più grande giocatore coreano-sovietico.
Che cosa ci fanno i coreani in Unione Sovietica?
Verso la fine dell’Ottocento, molti coreani lasciarono la propria terra d’origine per trasferirsi nella fascia costiera della Russia orientale. Il flusso di migranti aumentò con l’occupazione giapponese della Corea e la fallita ribellione del 1919. Nel 1917, nel frattempo, in Russia erano saliti al potere i bolscevichi, cambiando ancora lo scacchiere politico. La minoranza coreana in Unione Sovietica, che si riferiva a se stessa con il termine di Koryo-Saram (koryo significa coreano, saram significa persone o gente), visse fino agli anni Trenta in una situazione di relativa libertà culturale, potendo usufruire di scuole e giornali in lingua coreana. Tuttavia quando nel 1937 il Giappone invase la Manciuria, la minoranza fu accusata di collaborare con il nemico giapponese e si decise per la deportazione. I coreani furono ricollocati in Asia Centrale, in particolare nella Repubblica uzbeka e in quella kazaka. Lo spostamento fu traumatico, realizzato con vagoni merci in cui quasi 200mila persone furono stipate senza acqua, né cibo. Al loro arrivo in Asia centrale, furono collocati in fattorie collettive, dove dovettero costruire tutto da zero e dove vivevano isolati e controllati dalla polizia segreta. La mortalità fu molto alta, circa del 22%. Non potevano lasciare le fattorie, era vietato l’uso della lingua coreana e furono esentati dal servizio militare e dallo studio di materie scientifiche e tecniche. La segregazione terminò nel 1954, dopo la morte di Stalin. A quel tempo Mikhail An aveva due anni.
La nascita di una stella
Mikhail viene da una famiglia di amanti del pallone. Il padre era stato un giocatore non professionista e il fratello Dmitri An un promettente calciatore delle serie minori sovietiche. Mikhail, che tutti chiamano Misha, tira i primi calci nella squadra della fattoria collettiva di Sverdlov, nella regione di Tashkent. E’ molto giovane ma ha una visione di gioco incredibile, nonostante sia fragile fisicamente. Nel 1968 inizia a giocare in prima squadra con il Politotdel, club dove aveva giocato anche il fratello Dmitri. “Era già nel giro della nazionale giovanile, ma a Tashkent non trovava spazio” dirà in un’intervista il fratello molti tempo dopo. Passano tre anni e il Pakhtakor, la principale squadra del calcio uzbeka, lo fa esordire nella prima divisione sovietica. Non brilla, ma mostra il suo potenziale. Non ha ancora compiuto vent’anni.
La stagione si chiude con la retrocessione, ma non tutto il male viene per nuocere e An si trova a suo agio nella seconda divisione, con ritmi più bassi e avversari più modesti. Ha modo di crescere e diventare più completo. Il 1972 è l’anno della sua esplosione. Diventa il centro nevralgico della squadra: dai suoi piedi partono tutti i lanci per i due ottimi attaccanti, Vladimir Fyodorov e Vasilis Hatzipanagis. La squadra ritorna in prima divisione e stavolta lo fa per rimanerci.
L’arrivo in nazionale e l’Europeo U23
An cambia ruolo e diventa quasi una mezzapunta. Siamo nel 1974 e a fine stagione avrà segnato 11 gol. Il Pakhtakor si classifica ottavo, sfiorando la qualificazione alle coppe europee. Misha viene inserito nella lista dei 33 migliori calciatori del paese, un traguardo molto ambito per i calciatori dell’epoca. Ma non durerà. La guerra civile in Grecia è finita e Hatzipanagis decide di tornare nel Paese dal quale proviene la sua famiglia. Firmerà per l’Iraklis di Salonicco, diventando una leggenda del calcio greco. Su Mikhail An ricadono tutte le responsabilità di una squadra indebolita, che a fine stagione retrocede e non riesce a tornare in prima divisione neanche nelle due stagioni successive. Eppure An regala ottime prestazioni, tanto che viene convocato dall’Unione Sovietica per gli Europei Under 23.
C’è un video su YouTube che dura quasi venti minuti. Mostra la partita di An contro la Francia. E’ il ritorno dei quarti di finale. L’Unione Sovietica sfoggia una tenuta classica con maglia rossa, pantaloncini bianchi e calzettoni rossi. An indossa la casacca numero 8, chiama continuamente il pallone, vuole che la manovra passi dai suoi piedi. Lancia con il destro o con il sinistro. E sono quasi sempre passaggi precisi e intelligenti. Non pressa particolarmente, ma in fase di costruzione è lui il centro nevralgico della squadra. L’Unione Sovietica vince quel torneo e Mikhail An è uno dei migliori giovani d’Europa.
Nel 1978 gli uzbeki tornano in prima divisione, Mikhail An è il capitano della squadra e viene ancora una volta inserito nella lista dei 33 migliori calciatori del suo Paese. Nella primavera dell’anno successivo, la nazionale olimpica visita gli Stati Uniti, An è il migliore in campo. Sarà Henry Kissinger a premiarlo. L’8 febbraio 1979, “Soccer America”, il principale settimanale calcistico americano, dedica la copertina proprio ad An.
La morte di un campione
L’8 agosto 1979, durante una partita contro lo Zorja Luhans’k, An si infortuna ed è costretto a uscire. La partita successiva si sarebbe giocata a Minsk contro la Dinamo, ma Mikhail non può giocare perché infortunato.
Il fratello racconta che il 9 agosto, si incontrarono a Tashkent, per pranzare insieme e fare due chiacchiere. Mikhail parlò molto del suo futuro e annunciò che sarebbe ritornato per qualche giorno a casa, per incontrare la famiglia e rilassarsi pescando. E così il giorno successivo Mikhail andò a Sverdlov, parlò con i nipoti e fece visita alla madre. Rimasta vedova abbastanza giovane, la mamma era sempre stata un collante molto forte della famiglia An e aveva sempre appoggiato i figli nella loro decisione di diventare calciatori. Passarono molto tempo insieme quel giorno, parlando e guardando le vecchie foto di famiglia. L’11 agosto, Mikhail An si recò all’aeroporto per salutare la squadra, da capitano voleva fare un in bocca al lupo ai suoi compagni per poi tornare in città. I ragazzi però lo convinsero a partire con loro.
Il giorno successivo, Ergash Aka, l’autista del Pakhtakor e amico della famiglia An, chiamò a casa di Dmitri. Rispose la moglie: “C’è stato un incidente aereo”. Clara Romanovna An non perse tempo e rintracciò subito il marito. Convinto che il fratello fosse rimasto a Tashkent, Dmitri seppe soltanto qualche ora dopo che, a causa del suo spirito di responsabilità, Mikhail era partito con tutta la squadra. Aveva solo 26 anni e stava aspettando il suo secondo figlio.
Il ricordo di Mikhail An
Misha fu seppellito nella fattoria di Sverdlov, per volere della madre. L’anno successivo il fratello Dmitri pensò di mettere una pietra tombale in ricordo del fratello. Si recò a Gazalkent in una cava di marmo. Spiegò al direttore che cosa volesse e quando ebbe finito, il lavoratore si ritirò a parlare con i suoi operai. Dopo qualche minuto tornarono e tutti assieme lo abbracciarono. Erano tifosi del Pakhtakor e Mikhail era il loro eroe. Realizzarono un bellissimo obelisco di marmo nero in memoria del calciatore, senza volere niente in cambio.
Nel 2020 uscirà un documentario dal titolo: “Destiny Deferred: The Mikhail An Story”. Racconterà le gesta di un calciatore straordinario e di un grande uomo. Davit Kipiani, leggenda del calcio sovietico e suo compagno di squadra ai tempi della nazionale U23 disse “Eravamo amici con Misha An. Quando giocavamo all’estero con la nazionale, Misha non comprava mai niente per se stesso. Solo regali per sua moglie e i bambini. Se qualcuno è in grado di dare così tanto amore alla sua famiglia, devi solo rispettarlo come persona. Ha avuto un grande talento come calciatore e ma è stato anche un grande uomo”.
foto credit: “Destiny Deferred: The Mikhail An Story”