Lo scorso 8 gennaio Andrzej Duda, Presidente della Repubblica polacca e membro del partito di governo Diritto e Giustizia (PiS), ha annunciato che il Paese boicotterà le celebrazioni della liberazione del campo di Auschwitz che si terranno il 22 e 23 gennaio a Gerusalemme. La dichiarazione del presidente polacco arriva subito dopo il rifiuto da parte di Israele di permettere a Andrzej Duda di tenere un discorso pubblico sul tema, nonostante allo stesso evento siano stati invitati a parlare i rappresentanti di USA, Regno Unito, Russia e Francia.
Per Duda l’assenza di una voce “polacca” alle celebrazioni costituirebbe una vera e propria falsificazione storica: dei circa sei milioni di ebrei uccisi durante la Shoah, tre milioni erano polacchi, e durante l’occupazione tedesca la Polonia perse altri due milioni e mezzo di cittadini sotto i colpi della repressione nazista. In risposta a queste affermazioni del Presidente polacco, Israele ha ribadito che a Duda non sarà concesso nessuno spazio, perché i tre milioni di ebrei in questione vennero uccisi in quanto tali, indipendentemente dalla loro nazionalità. Ma dietro questa motivazione si nasconde in realtà la preoccupazione israeliana che Duda possa esprimere posizioni vicine a quelle del Premier polacco Mateusz Morawiecki, anche lui membro di Diritto e Giustizia (PiS), secondo il quale la responsabilità della Shoah sarebbe da far ricadere anche sugli stessi ebrei.
La polemica con la Russia
Ma per il Governo polacco le polemiche attorno alla Shoah non sono affatto una novità. Già lo scorso dicembre il presidente russo Vladimir Putin, in coda al polverone sollevato dalla risoluzione del Parlamento europeo a proposito del patto Molotov-Ribbentropp, ha dichiarato che Jòzef Lipski, ambasciatore polacco in Germania tra il 1934 e il 1939, espresse “piena solidarietà con Hitler a proposito della sua visione antisemita”. Secondo Putin la Polonia tra le due guerre sarebbe stata per questo complice della Shoah, o perlomeno del clima che portò alle persecuzioni contro gli ebrei, piuttosto che una vittima dell’invasione nazista – e, due settimane più tardi, anche sovietica – del settembre 1939.
La reazione alle affermazioni di Vladimir Putin non si è fatta attendere. Il Governo polacco ha espresso “sconcerto e incredulità”, mentre l’ambasciatrice statunitense a Varsavia, la repubblicana e collaboratrice di Fox News Georgette Mosbacher, ha definito la Polonia una vittima innocente della Seconda Guerra Mondiale scatenata dall’accordo tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista. Il tweet di Georgette Moesbacher è stato subito ripreso dall’ambasciata russa, che ha ironizzato sulla conoscenza della Storia da parte dell’ambasciatore degli USA.
Un po’ di chiarezza sulla figura di Jòzef Lipski
La polemica tra l’ambasciata russa e il Governo polacco è imperniata sulla valutazione della figura e dell’operato di Jòzef Lipski. Ambasciatore in Germania fra il 1934 e il 1939, Lipski era un membro di spicco dell’establishment nazionalista polacco, tanto che venne scelto dal governo dell’epoca come diplomatico di punta in uno dei Paesi più importanti nell’area. Nel 1926 infatti Jozef Pilsudski, già uomo forte delle forze armate polacche, aveva guidato un colpo di stato militare e instaurato un regime nazionalista modellato sull’Italia fascista. Grande ammiratore di Mussolini, Pilsudski – dopo un’iniziale diffidenza nei confronti di Hitler – negli anni ’30 considerò la Germania nazista come un potenziale alleato in funzione antisovietica. Nel 1934 la Polonia firmò un patto di non aggressione con la Germania nazista, e Lipski assunse l’incarico di ambasciatore con il mandato di lavorare per il riavvicinamento dei due Paesi, dopo le frizioni e le ostilità successive alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Ma quali erano le posizioni di Jozef Lipski a proposito degli ebrei? Durante un incontro con Hitler nel 1938, Lipski si espresse favorevolmente a proposito del cosiddetto Piano Madagascar: ideato da Franz Rademacher, stretto collaboratore di Hitler sulla “questione ebraica”, il piano prevedeva la deportazione di massa di tutti gli ebrei europei in Madagascar, colonia francese che sarebbe caduta in mano tedesca dopo il 1940. Dunque possiamo dire che, almeno nel 1938, Lipski fosse favorevole se non allo sterminio della popolazione ebraica, di sicuro ad una sua deportazione forzata fuori dall’Europa. In questo senso possiamo definirlo un antisemita. Dall’altra parte è altrettanto vero che dopo l’invasione della Polonia Jozef Lipski raggiunse il governo polacco in esilio e si adoperò per la formazione dell’Armia Krajowa, il movimento nazionalista polacco di resistenza al nazismo, nel quale non mancavano per altro settori di combattenti ostili alla popolazione ebraica.
Alla luce di questi fatti la verità non sembra stare né nelle dichiarazioni del Governo polacco, né nelle affermazioni di parte russa. Jozef Lipski, come quasi tutto l’establishment polacco dell’epoca, espresse – e condivise – una forte diffidenza nei confronti della popolazione ebraica: da decenni i nazionalisti polacchi indicavano gli ebrei come il nemico interno da cui la Polonia, giovane nazione cattolica, si doveva guardare come fattore di instabilità. In altre parole, l’antisemitismo era un tratto fortemente presente in tutta la cultura politica nazionalista polacca negli anni ’30. Dall’altra parte però non esistono prove del coinvolgimento di Jozef Lipski nella Shoah e nell’istituzione dei campi di concentramento e sterminio, anzi, tutte le evidenze documentarie indicano il contrario. Dunque non è possibile accostare Lipski al nazismo, o descriverlo come un collaborazionista, suggerendo una sua completa adesione alle posizioni di Hitler sullo sterminio degli ebrei. Allo stesso modo, se è vero che ci furono casi di antisemitismo all’interno dell’Armia Krajowa, è anche vero che alcune formazioni ad essa legate, e in particolare il Quadro di Sicurezza (Kadra Bezpieczeństwa) combatterono al fianco delle formazioni ebraiche durante la rivolta del ghetto di Varsavia.
Il necessario equilibrio
Come abbiamo visto, la valutazione dell’operato e delle posizioni di Jòzef Lipski è parziale sia da parte polacca (e statunitense), sia da parte russa. La Storia è complessa, così come sono sfaccettate le biografie degli uomini e delle donne che partecipano ai grandi processi storici. Quello che sembra mancare nelle dichiarazioni di tutte le parti in causa è proprio l’equilibrio necessario ad avere una visione degli eventi storici che non sia piegata alla necessità politica del momento.
È innegabile che l’antisemitismo fosse diffuso in Polonia nella prima metà del Novecento. Ed è altrettanto innegabile che durante la Seconda Guerra Mondiale ci siano stati veri e propri massacri di ebrei perpetrati dai polacchi sotto la supervisione dei nazisti. Un esempio eclatante è quanto successe a Jedwabne, una cittadina nel nordest della Polonia, nel 1941. Gli abitanti polacchi del villaggio, sotto la supervisione di quattro SS tedesche, circondarono le abitazioni degli abitanti ebrei della cittadina: un gruppo di cinquanta persone, fra cui il rabbino della comunità, furono costrette ad abbattere il monumento a Lenin che si trovava nella piazza centrale del paese, a scavare una profonda fossa comune e infine vennero uccise e gettate. Altri ebrei vennero rinchiusi nel granaio del paese e gli venne dato fuoco. In tutto vennero uccise oltre trecento persone.
Il Pogrom di Jedwabne è solo uno dei numerosi casi di collaborazionismo della popolazione polacca nella caccia all’ebreo, sintomo di un antisemitismo che restò diffuso anche nei decenni successivi in alcuni settori nazionalisti polacchi riciclati nel partito comunista, come abbiamo visto nel caso della repressione del movimento del Sessantotto a Varsavia. E che resta diffuso ancora oggi in alcuni settori del Paese, basti pensare alle posizioni espresse dal premier Morawiecki, che abbiamo già visto, o all’ultima legge sul tema approvata dal Parlamento polacco, che ha attirato da più parti precise accuse di negazionismo. Ma questo non può mettere in ombra un fatto altrettanto incontrovertibile: milioni di polacchi (nazionalisti, socialisti, comunisti) combatterono e morirono nella lotta contro il nazismo, e furono proprio gli ebrei polacchi, durante la rivolta del ghetto di Varsavia, a dare vita a uno degli episodi più importanti di resistenza all’occupazione tedesca.
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