Le forzature storiche della serie tv Chernobyl

La vittoria ai Golden Globes della mini-serie TV HBO Chernobyl, ispirata alla celebre tragedia nucleare avvenuta in Ucraina nel 1986, non ha colto di sorpresa nessuno. Con un punteggio di 9,4 su IMDb, la serie creata da Craig Mazin e diretta da Johan Renck aveva già raggiunto il secondo posto tra le serie TV più apprezzate di sempre da pubblico e critica.

Chernobyl ha fatto parlare molto, soprattutto sull’accuratezza della rappresentazione degli avvenimenti storici e della ricostruzione dell’Ucraina sovietica del 1986. Dottori, liquidatori, abitanti di Pripyat, addirittura lo stesso Gorbačev – in molti hanno commentato sulla fedeltà della riproduzione dei fatti realmente accaduti, alcuni cimentandosi in una vera e propria “caccia all’errore. In Russia, la serie è stata criticata dai principali mezzi di informazione per aver rappresentato l’accaduto in modo stereotipato, mentre la rete televisiva NTV ha annunciato che girerà la propria versione di Chernobyl, dove la responsabilità per l’esplosione verrà imputata a un agente della CIA.

Uomini di partito e gente comune

Chernobyl non è una perfetta ricostruzione storica – del resto, è una serie TV e non un documentario. Ma quello che riesce a rappresentare con una fedeltà notevole è l’“universo umano” sovietico, storicamente e sociologicamente unico, che si divide in Chernobyl in due poli opposti e in contrapposizione. Da una parte ci sono i rappresentanti del potere sovietico, dall’uomo di partito della generazione della Rivoluzione, unico a menzionare ancora Lenin e a ricordarci, in un eccezionale monologo, l’importanza di fermare “la diffusione della disinformazione” sull’incidente per impedire al popolo di “danneggiare i frutti del proprio lavoro”, fino al segretario di partito Gorbachev, preoccupato solamente delle conseguenze dell’incidente sulla reputazione dell’Unione Sovietica, poiché “il nostro potere viene dalla percezione del nostro potere. Dall’altra parte ci sono le persone comuni – scienziati, soldati, pompieri, minatori, infermieri, operai, contadini – doppiamente vittime perché non solo costretti a subire le terrificanti conseguenze dell’incidente, ma anche perché gli unici pronti a sacrificare tutto per rimediare agli errori altrui e porre fine alla tragedia.

Buoni contro cattivi

È proprio creando questa contrapposizione però che Chernobyl sbaglia a riprodurre le dinamiche di potere sovietiche. Sin dalla prima scena, il protagonista Valerij Legasov si batte per portare alla luce la verità sulle cause dell’incidente, scontrandosi con i vari uomini di partito intenti a cercare di seppellire la verità con le bugie. Come analizza la scrittrice Masha Gessen, si ha l’impressione che, se non fosse stato per i “cattivi” uomini di potere, colpevoli di aver provocato e nascosto l’incidente per proteggere i propri interessi personali, uomini “buoni” e difensori della verità, come Legasov e la scienziata Ulana Chomjuk, avrebbero potuto evitare l’incidente di Chernobyl. In realtà, secondo Gessen e altri, è stato l’intero sistema sovietico, fatto di uomini e donne complici e parte di un sistema corrotto, a causare l’incidente di Chernobyl e a peggiorarne le conseguenze cercando di nascondere la gravità della situazione. In esso, ognuno è rassegnato e dunque complice di un sistema dove l’unico obiettivo è proteggere il proprio interesse personale a discapito del bene comune. Legasov ne avrebbe fatto parte a sua volta, o non sarebbe mai riuscito a raggiungere la posizione sociale di spicco che ricopriva come vice-direttore dell’Istituto nucleare di Mosca. Come sottolinea Gessen, “la rassegnazione era la condizione definitiva della vita sovietica, ma la rassegnazione è uno spettacolo deprimente e non telegenico”. Ha fatto dunque bene Chernobyl a creare una “lotta per la verità”, appassionante ma inesistente, per rendersi più “telegenica”?

Chernobyl è riuscita ad appassionare milioni di spettatori mostrando una tragedia che ha definito la storia dell’Europa del XX secolo e allo steso tempo riuscendo a riprodurre l’affascinante complessità della società sovietica. L’irrealistica lotta tra buoni e cattivi, creata forse per accontentare le aspettative del pubblico, è un prezzo che vale la pena pagare per poter assistere a questo spettacolo.

Immagine: IMDb.com

Chi è Martina Bergamaschi

Laureata in Interdiscilplinary Research and Studies on Eastern Europe all'Università di Bologna, lavora nel campo della cooperazione internazionale, al momento nell'est dell'Ucraina. Per East Journal scrive soprattutto di Russia, dove ha vissuto per due anni tra Mosca, San Pietroburgo e Kirov.

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