Quando lo scorso novembre il governo croato ha convocato le elezioni presidenziali, quasi nessuno avrebbe scommesso sulla vittoria finale dell’ex primo ministro socialdemocratico Zoran Milanović. I sondaggi condotti durante la campagna elettorale registravano al primo turno una corsa a tre con la presidente uscente Kolinda Grabar-Kitarović, sostenuta dal partito di governo dell’Unione Democratica Croata (HDZ), e Miroslav Škoro, cantante e rappresentante della destra radicale. Eppure, da un possibile duello tra le destre al secondo turno, si è arrivati a una sorprendente vittoria del centrosinistra, sancita dal 52.67% ottenuto da Milanović nel secondo turno svoltosi domenica 5 gennaio.
La vittoria dei socialdemocratici
La lunga scalata verso la vittoria era già iniziata durante le elezioni europee dello scorso maggio quando il Partito Socialdemocratico Croato (SDP) aveva ottenuto 4 seggi su 12, ben due in più rispetto a 5 anni prima. Il buon risultato ha avuto il merito di mantenere compatto il partito a fianco del candidato presidente Zoran Milanović, già premier del paese tra il 2011 e il 2016.
I risultati di domenica mostrano come l’ex premier sia riuscito non solo a mantenere le regioni occidentali, tradizionalmente favorevoli al centrosinistra, ma anche a conquistare città come Osijek e Split, in regioni storicamente di centrodestra, e soprattutto Zagabria. Quest’ultima governata da Milan Bandić, uomo vicino alla ex presidente Grabar-Kitarović al centro di pesanti accuse di corruzione e fortemente criticato dai movimenti civici della capitale.
Nel discorso dopo i risultati ufficiali, Milanović ha dichiarato che tratterà “tutti i partiti allo stesso modo” e che lavorerà per arginare il rischio di “autocrazia, tirannia e arbitrarietà”. Sul piano internazionale ha ribadito il proprio sostegno all’Europa, considerata come “un luogo che, nonostante tutti i problemi che deve affrontare, è il posto e il continente migliore”.
Il gioco perdente delle destre
Più che una convincente vittoria del centrosinistra, le elezioni hanno mostrato un clamoroso autogol delle destre, capaci di gettare al vento un successo quasi scontato. Causa di questo fallimento sono state le continue gaffe di Grabar-Kitarović e soprattutto il duro scontro tra la destra radicale rappresentata da Škoro e il centrodestra moderato. Škoro infatti, oltre a poter contare su un proprio elettorato ultranazionalista, negli ultimi mesi è riuscito a intercettare una buona fetta di elettori (e membri) dell’HDZ. Il conflitto tra moderati e radicali si è quindi spostato all’interno del partito stesso.
Inizialmente, l’attuale primo ministro Andrej Plenković, rappresentante dell’ala moderata, ha provato a limitare la fuga verso destra della Grabar-Kitarović cercando di guidare in prima persona la campagna elettorale. Al secondo turno, però, ha deciso di coinvolgere nella macchina elettorale Milijan Brkić, vicepresidente del parlamento e dell’HDZ, e noto esponente dell’ala più radicale. Questa scelta non era dovuta alla volontà di attrarre i voti di Škoro, obiettivo non raggiunto, ma piuttosto ad addossare all’ala radicale l’eventuale sconfitta e dimostrare che il futuro del partito è nello schieramento di un centrodestra moderato, riducendo così lo spazio di manovra degli avversari interni alle primarie del partito della prossima primavera.
Mentre Grabar-Kitarović non ha voluto rilasciare dichiarazioni sul ruolo di Škoro e dei suoi elettori, Plenković, che durante il discorso di congedo è apparso ben poco turbato dalla sconfitta, ha subito addossato la colpa al cantante e ai voti nulli (circa il 4% del totale). È molto probabile che nelle prossime settimane si apra una dura lotta interna per il controllo del partito che potrebbe portare gli sconfitti verso altri schieramenti o alla nascita di nuovi partiti.
Le reazioni nei paesi vicini
La vittoria di Milanović ha lasciato sicuramente delusi gli elettori croati in Bosnia, dove la Grabar-Kitarović ha ottenuto oltre il 91% dei voti. A livello istituzionale il membro croato della presidenza tripartita, Željko Komšić, ha aperto alla collaborazione con il nuovo presidente presentandosi come “partner affidabile”, mentre il presidente della Camera dei popoli Dragan Čović ha chiesto di lavorare per una maggiore protezione dei croati in Bosnia e per il riconoscimento della loro piena uguaglianza come gruppo etnico costituente. Di “occasione per migliorare i rapporti tra Croazia e Bosnia-Erzegovina” ha parlato anche il rappresentante bosgnacco della presidenza, Šefik Džaferović. Di tono parzialmente opposto invece quanto sottolineato da Milorad Dodik, rappresentante serbo, che si aspetta che Milanović lavori “per migliorare lo status dei serbi in Croazia”.
Congratulazioni sono arrivate anche dai partiti di opposizione serba e specialmente dal Partito Socialdemocratico (SDS) di Boris Tadić che ha parlato di “una vittoria sulla politica populista”. Decisamente più freddo invece il messaggio inviato dal presidente serbo Aleksandar Vučić che si è limitato a inviare le proprie congratulazioni, lasciando il lavoro sporco ai giornali a lui vicino. Il tabloid Alo ha infatti appellato Milanović come “ustaša” riportando, in maniera un po’ fantasiosa, dichiarazioni di alcuni anni fa in cui parlava della Serbia come un “non stato” e dei serbi come “barbari”.
Per la Croazia il 2020 si prospetta un anno pieno di sfide interne, con le elezioni parlamentari in autunno, e internazionali, con la presidenza semestrale del Consiglio UE. Alla fine di quest’anno lo scenario politico del paese potrebbe risultare ben diverso rispetto a quello dell’ultimo decennio.
Foto: Jutarnji LIst