Il 29 febbraio la Slovacchia torna alle urne per il rinnovo del parlamento. Elezioni ricche di significato che potrebbero segnare una storica vittoria delle opposizioni contro il governo dei socialdemocratici, dell’ex premier Fico e della sua politica. Ma a Bratislava si respira tutt’altra aria e la campagna elettorale non è così memorabile.
Chi ben comincia…
La campagna elettorale si era aperta ufficiosamente a ottobre, quando il governo aveva tentato di modificare la legge che regola la pubblicazione dei sondaggi politici pre-voto.
Il testo della norma, approvato in parlamento dai deputati di maggioranza del partito socialdemocratico (SMER-SD) e del partito nazionale slovacco (SNS), anche con i voti dell’estrema destra, prevedeva l’estensione del divieto di diffusione dei sondaggi da 14 a 50 giorni precedenti il voto, per “proteggere gli elettori dalla disinformazione”.
Una mossa della disperazione in realtà, che aveva il semplice obiettivo di ostacolare le nuove formazioni politiche di opposizione, creando una potenziale situazione di silenzio quasi surreale e certamente raro tra le democrazie europee.
La presidente Zuzana Čaputová ha bloccato tutto esercitando il suo potere di veto. La proposta si è quindi persa tra le stanze della corte costituzionale slovacca e non è entrata in vigore, per la fortuna dei sondaggisti e di chi scrive.
La retorica anti-rom
Un grande classico della politica slovacca è il tiro al bersaglio nei confronti della popolazione rom. La Slovacchia è uno dei paesi europei dove esiste una minoranza importante di etnia rom (la più numerosa dopo quella ungherese) e dove oltre il 75% dei cittadini slovacchi ha un’opinione negativa di questo popolo. Una situazione che dalle campagne elettorali degli anni ’90 fa gola ai politicanti di turno in cerca di voti facili.
Questa volta ci ha pensato l’ex premier Robert Fico a scagliare la prima pietra, tacciando i rom di approfittare del sistema sociale slovacco e del welfare del paese. Un’accusa ricorrente che rappresenta un banale tentativo di capitalizzare quel sentimento di intolleranza nei confronti di usi e costumi diversi, provando a strappare voti alla formazione di estrema destra Nostra Slovacchia, che da sempre fa dell’intolleranza verso la minoranza rom uno dei suoi cavalli di battaglia, in una triste gara a chi la spara più grossa.
Tutti contro tutti
Sulle rive del Danubio si è assistito anche a una crisi politica interna, subito rientrata, sui fatti accaduti nei giorni scorsi a Baghdad. Se la posizione ufficiale del governo è stata quella di cautela e moderazione, il presidente del parlamento e leader dell’SNS Andrej Danko, attualmente al governo con i socialdemocratici, ha esasperato i toni chiedendo apertamente al primo ministro Peter Pellegrini di ritirare il contingente slovacco presente in Iraq.
Dopo un iniziale rifiuto da parte del premier, al quale era seguita la minaccia di Danko di mettere la questione al voto del parlamento, il governo ha fatto sapere di aver messo al sicuro i militari nazionali fuori dai confini iracheni.
Instabilità alle porte
La non esaltante campagna elettorale sta entrando nel vivo e ancora non sembrano esserci vincitori. Destino simile potrebbe avere l’esito del voto, al quale parteciperanno addirittura 25 diverse formazioni politiche.
Attualmente, i 3 partiti al governo collezionerebbero circa il 30% dei consensi, meno del 43% ottenuto nel 2016, che non basterebbe perciò alla formazione di una nuova maggioranza parlamentare.
Anche le opposizioni rischiano di non avere i numeri per dar vita a un governo di svolta: i partiti vicini all’attuale presidente Čaputová e all’ex presidente Kiska potrebbero fermarsi al 25% dei voti validi e sarebbero costretti a cercare seggi tra le numerosissime formazioni di centro e centro-destra che gravitano intorno al 6-7% delle preferenze.
Molti scranni parlamentari saranno invece assegnati all’estrema destra di Marian Kotleba (LSNS), che difficilmente prenderà parte a qualsivoglia coalizione di governo.
Sebbene molti partiti di opposizione abbiano firmato un patto con il quale si promettono di non scendere a compromessi con il partito socialdemocratico di Robert Fico e di non entrare in un suo eventuale governo, non esiste un reale accordo pre-elettorale per unire le liste.
La loro interpretazione politica anti-Fico e anti-socialdemocratica potrà attirare i voti dei cittadini desiderosi di un cambiamento e potrà far perdere le elezioni all’ex premier, ma non attribuisce automaticamente credibilità alla loro proposta politica. Una frammentazione eccessiva che si tiene in piedi solamente in chiave anti-governativa, ma che agli occhi dei cittadini slovacchi è ben lontana dal rappresentare una reale soluzione politica.
La sfida che le forze di opposizione dovranno affrontare da qui al voto non sarà solamente la necessità di sconfiggere Fico e di arginare l’avanzata dell’estrema destra, ma riguarderà il tentativo di convincere i cittadini che un’eterogenea coalizione di innumerevoli partitini può essere la soluzione migliore per il paese. Ci riusciranno?
Foto: TASR