A partire dal 1 gennaio 2020 Zagabria assumerà, per la prima volta, la presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione Europea. Ultimo paese a diventare membro UE nel luglio 2013, la Croazia si troverà a guidare un’Unione che non sembra ancora esser riuscita a superare le divisioni interne. Tanti i dossier caldi sul tavolo: dalla Brexit al futuro della politica di allargamento, passando per il delicato pacchetto di riforme economico-finanziarie (MES su tutti) e la rivoluzione verde annunciata dalla nuova Commissione. Tutto questo senza dimenticare che l’Unione deve ancora capire “cosa fare da grande” a livello globale soprattutto in relazione a questioni come la guerra dei dazi con gli USA, la difficile situazione mediorientale e quella altrettanto complicata del Sud America.
Cos’è la presidenza a rotazione del Consiglio UE
Il Consiglio dell’Unione Europea è l’istituzione comunitaria che riunisce, a seconda dei differenti settori, i ministri competenti dei 28 governi nazionali dell’Unione. Il Consiglio condivide con il Parlamento la funzione legislativa, e si occupa delle materie gestite a livello intergovernativo, come la politica estera e di sicurezza comune. La presidenza a rotazione è stata introdotta per coordinare con il Parlamento l’agenda dei lavori legislativi e garantire il funzionamento continuo del Consiglio. Negli anni, è diventata sempre più un’opportunità per i diversi paesi per mostrare le proprie capacità organizzative e diplomatiche nella costruzione del consenso, guadagnandone in immagine.
Il Trattato di Lisbona (2009), che istituzionalizza il Consiglio europeo (a livello dei capi di stato e di governo, differenziato dal Consiglio dell’UE a livello dei ministri) e vi associa un Presidente fisso (oggi Charles Michel), ha depotenziato il ruolo delle diplomazie nazionali e della presidenza. Tuttavia, gli stati membri non hanno voluto abolirlo, anche solo per il suo prestigio e possibilità uniche di visibilità nazionale. Con l’Unione a 28, passerebbero almeno 14 anni prima che tale opportunità ritorni.
Priorità comuni e non nazionali
L’esperienza degli ultimi 15 anni ha mostrato che il compito della presidenza è meno immediato di quanto sembri: se essa dà anche agli stati più piccoli la possibilità di influenzare l’agenda del dibattito, può trasformarsi in una trappola. I lavori della presidenza ruotano infatti per la maggior parte su questioni ordinarie, quindi sulla gestione degli imprevisti, e infine solo in minima parte sulle priorità politiche della presidenza semestrale.
Non paga, in questo senso, portare priorità nazionali al tavolo europeo; paga piuttosto inserire le priorità nazionali nel contesto dell’evoluzione dell’integrazione comunitaria. Le ultime presidenze “balcaniche”, quelle di Bulgaria e Romania, non hanno particolarmente brillato, nonostante la buona tenuta dell’agenda. Ora, dopo la Finlandia e prima di Berlino, è il tempo per Zagabria di dimostrare di essere in grado di tenere il timone dell’Unione.
Le priorità del governo…
Per il governo croato la presidenza del Consiglio UE rappresenta una vetrina fondamentale. Il premier Plenković ha tenuto vari incontri preparatori, come quello del 5 dicembre con il presidente del Parlamento europeo David Sassoli per discutere del quadro finanziario pluriennale (Multiannual Financial Framework, MFF), al centro di un importante dibattito tra i paesi membri sull’aumento del bilancio comunitario.
La strategia complessiva della presidenza croata si basa su quattro pilastri : sviluppo, connettività, sicurezza e ruolo internazionale. Plenković ha sottolineato la necessità di “approfondire il nostro mercato unico” e potenziare le reti infrastrutturali per ridurre le differenze tra i paesi membri e sostenere una maggiore integrazione dei partner balcanici.
Circa la sicurezza, il primo ministro si è detto pronto a lavorare per “una riforma del sistema europeo comune di asilo (CEAS) e una migliore cooperazione con i paesi terzi”. Sul ruolo internazionale dell’UE, il governo croato è convinto che solo una maggiore unità interna può garantire il protagonismo nelle sfide globali. Tra queste rientra il futuro della politica di allargamento che ha subito una battuta d’arresto con il veto posto dal presidente francese Emmanuel Macron all’avvio dei negoziati d’adesione con Albania e Macedonia del Nord. L’integrazione dei Balcani occidentali sarà il tema di un importante summit a maggio a Zagabria, che si spera possa portare ad una più chiara strategia.
…e quelle della società civile
Anche la società civile croata, riunita nella rete Forum 2020, ha presentato a seguito di consultazioni pubbliche tenute in cinque città croate la sua lista di priorità, spesso contrarie a quanto espresso dal governo.
In cima alla contro-agenda stanno lo stato di diritto e i diritti umani contro “l’ascesa delle cosiddette democrazie illiberali”, rinforzando le istituzioni di garanzia e il controllo civile sull’apparato repressivo. Il secondo punto riguarda l’integrazione dei Balcani occidentali per assicurarne la democratizzazione. Un ulteriore ritardo nella politica di allargamento rischia solo di espandere le tendenze nazionaliste, isolazioniste e autoritarie e spingere i Balcani verso “altri attori geopolitici i cui valori e obiettivi politici sono diretti a destabilizzare l’UE”.
Il terzo punto, dedicato allo sviluppo sostenibile, rivendica la necessità di “dichiarare uno stato di emergenza climatica” e il rispetto dell’Accordo di Parigi. Infine, l’ultimo punto tocca il tema dell’Unione Europea come “costruttore di pace” con un maggior supporto al lavoro delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa, oltre che una riforma del sistema di Dublino al fine di “espandere, e non diminuire, i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati” ed eliminare qualsiasi forma di “criminalizzazione della solidarietà”.
Il lavoro del governo croato nei prossimi sei mesi si preannuncia quindi carico di aspettative e buoni propositi. Molti degli obiettivi potrebbero esser raggiunti anche grazie al lavoro congiunto con la nuova Commissione che si è detta, ad esempio, pronta ad affrontare il tema della lotta ai cambiamenti climatici. I sei mesi di presidenza croata non cambieranno certo le sorti dell’Unione Europea ma potrebbero contribuire a gettare le basi per un più ampio ripensamento di alcune politiche comunitarie. Bisognerà però vedere quanto il governo e le istituzioni europee vorranno far proprie anche alcune delle battaglie portate avanti dalla società civile croata.
Foto: Twitter Eu2020HRa