L’età dei giochi. Un’infanzia in Transilvania
di Claudiu M. Florian
Voland edizioni
pp. 368
euro 18
Il romazo “Le età dei giochi. Un’infanzia in Transilvania” (Voland, 2019, 368 pp.) di Claudiu M. Florian inizia con le riflessioni del giovanissimo narratore sulla lingua, anzi, sulle due lingue, che sente parlare nella casa dei nonni. Siamo in pieno periodo natalizio e il bambino racconta che i nonni cantano O Tanenbaum in due lingue diverse: la nonna in tedesco e il nonno in romeno, lingue che il piccolo comprende entrambe.
Un multilinguismo che è una costante della narrazione e che rappresenta una delle caratteristiche più importanti della regione in cui la storia è ambientata, la Transilvania, regione multietnica per eccellenza. L’intero libro di Florian è autenticamente bilingue: uscito per la prima volta in tedesco nel 2008, il romanzo è apparso successivamente in romeno nel 2012 ampliato e modificato; nel 2016, la versione romena è stata insignita del premio per la letteratura dell’Unione Europea nel 2016.
Grazie a Voland, proprio quest’anno “Le età dei giochi” esce in italiano nell’eccellente traduzione del romenista Mauro Barindi: il pubblico italiano potrà così conoscere una tra le più affascinanti regioni d’Europa attraverso un’opera letteraria di seducente immediatezza.
Il gioco delle lingue, dell’Altrove e dei “tanti-tipi”
Florian racconta la doppia anima tedesca e romena di un villaggio della Transilvania profonda nel corso degli anni Settanta. Il narratore-bambino osserva la vita, la varietà di parole e di lingue che lo attorniano, i “tanti-tipi” di persone che compongono un universo in cui romeni, ungheresi e tedeschi convivono e si relazionano tra loro. Lo sguardo infantile coglie con freschezza le differenze e la varietà umana che lo circonda, associando le prime conoscenze con quanto vede attorno a lui: ad esempio, Adam, l’anzianissimo vicino di casa, è il primo uomo apparso sulla Terra perché così ha letto in un libro (la Bibbia, evidentemente), mentre il signore che ha camminato per primo sulla Luna doveva essere un uomo molto piccolo di uomo per poter essere riuscito a camminare su un disco grande come una susina.
La Storia vista da un bambino
Nonostante il linguaggio fresco e infantile, il villaggio è un luogo di ricordi dominato da una nostalgia per un passato idilliaco che grava sugli adulti. L’espressione “un tempo” annotata con precisione dal ragazzino sembra rappresentare una serenità irraggiungibile perduta per sempre, segno di un “paradiso in disfacimento”, giusto per citare un poeta transilvano come Lucian Blaga.
Il protagonista riesce a connettere parole appartenenti a lingue diverse. Ad esempio, in occasione del suo primo viaggio a Bucarest, pensa alla somiglianza della parola romena “tren” con quella che “in tedesco – Träne – significa “lacrima”. E il bambino commenta: ”Sento già crescere in gola un leggero nodo di nostalgia per la Nonna, per la casa e per tutti gli altri luoghi. Treno e Träne hanno qualcosa in comune”.
Storie di minoranze e totalitarismi
La grande Storia non si è dimenticata dello sperduto villaggio transilvano. Anzi; è un mondo che deve fare i conti con le lontananze, con le deportazioni, con il regime totalitario e con l’emigrazione della minoranza tedesca a seguito della Seconda Guerra Mondiale. La parola “treno” evoca dunque lo spopolamento e l’emigrazione verso l’interno (Bucarest) e verso l’esterno (la Germania Federale), quest’ultima pagata a suon di dollari. Il bambino sa che i suoi veri genitori sono lontani, che i suoi parenti vivono Ingermania. Lo spettro dello sradicamento è sempre presente: del resto, la nonna si allarma quando viene a sapere che il bambino andrà qualche giorno (o per sempre?) a Bucarest e si turba profondamente nel sentire che il nipote, al suo ritorno, ha perso fluidità nella lingua della minoranza etnica, il tedesco. E, dalle parole del narratore, sappiamo che un giorno l’infanzia paradisiaca avrà un termine e che lui stesso sarà destinato ad abbandonare il villaggio.
Nel libro, la Storia fa capolino nei modi più inaspettati. Gli “omini della radio” di cui parla il bambino altri non sono che gli speaker di Radio Europa Libera, la radio clandestina dell’esilio democratico così come sono numerosi i riferimenti a personaggi storici filtrati attraverso l’occhio dell’infanzia. Lo sguardo infantile straniante riesce a raccontare la drammatica storia di luoghi tormentati alle prese con un regime che ha cercato a tutti i costi di eliminare le minoranze etniche interne.
A Voland, già impegnata nella divulgazione di letteratura romena attuale con i romanzi di Mircea Cărtărescu, tradotti da Bruno Mazzoni (ultima, recentissima uscita, Il Levante), va un sentito ringraziamento per aver fatto conoscere al pubblico italiano questo vivo affresco transilvano.