Paul Marchand non era un reporter come gli altri, neppure in quei primi mesi dell’assedio di Sarajevo. Le sue scorribande alla guida di una Ford Sierra con la scritta “io sono immortale” lungo il viale dei cecchini sono entrate nella leggenda, e sono oggi il soggetto del film “Sympathie pour le diable“, coproduzione belgo-canadese del regista Guillaume de Fontenay uscita nelle sale francofone a novembre.
E’ il novembre del 1992, Sarajevo è da sette mesi sotto l’assedio dell’esercito jugoslavo e delle milizie serbe, che bombardano la città al ritmo di 330 colpi d’artiglieria al giorno, che ne sventrano i palazzi e mutilano donne, uomini e bambini, “sotto lo sguardo impassibile della comunità internazionale”. Paul Marchand, corrispondente per quattro radio francofone, è prigioniero come il resto dei suoi colleghi dell’hotel Holiday Inn. Aspro e arrogante, a tratti insopportabile, Marchand non ha altri amici se non il suo sigaro Avana sempre acceso.
Ma Marchand non si accontenta di fare, come i suoi colleghi, il distaccato reporter: dal trasportare feriti all’ospedale all’andare a intervistare i cecchini serbi nel loro nido d’aquila sulle colline, allo smascherare l’ipocrisia del locale comando ONU, Marchand è al cuore del conflitto. La storia, romanzata, lo vede intrecciare una relazione con la traduttrice serbo-bosniaca, aiutare a esfiltrarne lo zio malato, e terminare per contrabbandare nella città assediata un carico di pallottole per la debole difesa territoriale bosniaca. Un doppio gioco che lo mette a rischio: ed è infatti il tiro di un cecchino che lo colpisce ad un braccio e lo spinge, in fin di vita, a dover abbandonare la città sotto assedio.
Il film non ci dà nessuna coordinata su Paul Marchand nè sul conflitto bosniaco, che il regista ricostruisce in maniera impeccabile. Non ci parla dei suoi vent’anni passati attraversando la guerra del Libano, né della sua vita una volta rientrato a Montréal, dove pubblica quattro libri di memorie, di cui uno che dà il titolo al film. Marchand si suiciderà nel 2009. “Paul aveva una dipendenza al rischio. Era un mix di nitroglicerina e di olio alle mandorle”, ne scriverà il collega e conterraneo di Grenoble, Michel Tavelle.
Con un realismo violento e la sua camera nervosa, la pellicola di de Fontenay ci porta direttamente dentro l’assedio di Sarajevo, con tutta la sua assurdità, là dove si muore per strada sotto un’insegna della Coca Cola, o dove una madre deve piangere il proprio bambino colpito da un cecchino perché avvicinatosi troppo vicino alla finestra di casa. La sfida del regista, e dell’interprete Niels Schneider nei panni di Marchand, è proprio quella di comunicare l’indignazione e la rivolta di un reporter umanista, senza celare le asperità di un uomo che era comunque in grado di suscitare il rigetto dei suoi colleghi, come scrive La Presse. Un film che merita di essere presto portato anche sugli schermi italiani.