KIRGHIZISTAN ELEZIONI: Vince Atambajev, a grandi passi verso la democrazia

di Christian Eccher

DAL NOSTRO INVIATO A BISKEK – Le elezioni presidenziali in Kirghizistan si sono svolte regolarmente lo scorso 30 ottobre senza incidenti e senza brogli significativi. La prima repubblica parlamentare nella storia dell’Asia centrale sembra decisa a portare a termine il processo di democratizzazione cominciato nell’aprile del 2010, quando, dopo la rivoluzione, il dittatore Kurmanbek Bakjev era stato costretto a rifugiarsi in Bielorussia. La nuova Costituzione dà maggiori poteri al Parlamento e riduce quelli del Presidente, che rimangono comunque notevoli: fra le numerose mansioni, il Capo dello Stato infatti nomina – con l’assenso del Parlamento e di altri organi istituzionali – i giudici, lo Stato maggiore dell’esercito, i dirigenti della Banca Nazionale. Il Presidente attuale, Roza Otunbajeva, era stata eletta ad interim grazie a un referendum e proprio per questa ragione la data delle consultazioni elettorali è stata fissata per il 2011, sebbene la Costituzione preveda che la carica duri 6 anni.

Le elezioni del 30 ottobre hanno sancito la vittoria schiacciante di Almazbek Atambajev, che ha ottenuto – a 2313 su 2318 sezioni scrutinate – il 63,22 % dei voti. Atambaev è stato anche il primo Presidente del Consiglio del Kirghizistan democratico e si è dovuto dimettere dalla carica nel momento in cui ha presentato la candidatura alla Presidenza. La Costituzione, infatti, impedisce ai candidati di ricoprire altri incarichi istituzionali, richiede la conoscenza della lingua kirghisa e un deposito cauzionale di 2000 dollari. Per questa ragione, solo 16 degli 83 candidati iniziali sono rimasti in lista.

Atambaev è stato sostenuto da tre dei quattro partiti che compongono la coalizione di governo: l’SDPK (partito socialdemocratico kirghiso), il partito socialista Ata-Meken e Respublica, una formazione nuova di cui fanno parte i principali maggiorenti del Kirghizistan e i proprietari delle più importanti testate mediatiche nazionali. La quarta formazione politica della coalizione, Ata-jurt, ha invece presentato un proprio candidato, Kamcibek Tashiev, che ha ottenuto il 14,3% dei voti.

I rapporti all’interno del governo sono tesi sin dall’inizio della legislatura – cominciata nel dicembre del 2011 – proprio perché Ata-jurt è assolutamente contrario alla nuova Costituzione e al sistema parlamentare. Le dimissioni di Atambaev, che appartiene all’SPDK, hanno creato ulteriori tensioni per via della nomina a capo del governo di Omurbek Babanov, il fondatore di Respublica, che i socialisti di Ata-Meken non amano affatto. Nonostante ciò, il presidente di Ata-Meken Omurbek Tekebaev, uomo di grande cultura e storico oppositore dei due regimi dittatoriali che hanno oppresso il Kirghizistan dal 1991 a oggi, ha ritirato la propria candidatura alle elezioni presidenziali per sostenere e dirottare il più grande numero di voti sul compagno di coalizione Atambaev.

La mossa, che per un osservatore occidentale potrebbe sembrare scontata, è invece una forte testimonianza del senso dello Stato di Tekebaev: in un paese come il Kirghizistan frammentato e governato sulla base di interessi di clan e familiari, è assolutamente inusuale rinunciare a un qualsiasi ruolo istituzionale per privilegiare gli interessi del paese. Il numero iniziale dei candidati, 83, ridotti poi dal ЦИК, la Commissione Elettorale Centrale, sottolinea ancora una volta l’estrema frammentazione della società kirghisa.

Elezioni regolari

Le elezioni si sono svolte sotto l’egida e l’attento controllo degli osservatori dell’OCSE, guidati dalla svedese Walburga Habsburg Douglas, la quale si è detta stupita e positivamente colpita dall’ordine e dalla calma con cui i kirghisi hanno votato. In effetti, domenica scorsa la situazione nei seggi della capitale era assolutamente tranquilla: la gente è rimasta anche diversi minuti in fila aspettando il proprio turno, molte mamme hanno votato con i bambini in braccio e hanno lasciato a questi ultimi il compito di infilare la scheda nell’urna. Gli osservatori kirghisi, che affiancavano quelli stranieri dell’Osce, nelle pause hanno preparato il te per gli scrutatori e per i giornalisti stranieri. Scene inusuali in Occidente ma che hanno reso l’atmosfera rilassata e piacevole, senza che venisse mai meno l’attenzione degli osservatori nei confronti di eventuali brogli.

Un Paese spaccato a metà

Nonostante ciò, il risultato delle elezioni mostra una volta di più la spaccatura fra il nord e il sud del paese: l’affluenza alle urne, che a livello nazionale si è attestata intorno al 57% degli aventi diritto, è stata altissima nel nord e bassissima nel sud. Nel distretto di Issyk-Kulj, dove si trova l’omonimo lago, ha votato il 90% della popolazione, che si è espresso in maniera plebiscitaria a favore di Atumbaev. Nei distretti di Osh e di Jalal-Abad, nel sud, l’affluenza alle urne ha di poco superato il 20%. Proprio in queste due città, nel giugno del 2010 si erano verificati violenti scontri fra i kirghisi sostenitori del nuovo regime democratico e gli uzbeki che invece non nascondevano le proprio simpatie per Bakjev. Le radici dell’odio fra uzbeki e kirghisi sono profonde, legate a problemi di carattere innanzitutto economico: gli uzbeki, infatti, sono artigiani e piccolissimi proprietari terrieri, mentre i kirghisi rappresentano la manodopera agricola.

L’odio verso gli uzbeki

Gli uzbeki, durante il regime di Bakjev, avevano molti privilegi, primo fra tutti la possibilità di corrompere le autorità e di ricevere il permesso di utilizzare le terre demaniali per un anno. Grazie alla maggiore disponibilità monetaria rispetto alla maggioranza kirghisa, potevano anche versare tangenti per evitare ai proprio figli il servizio militare. A questo si aggiunga l’inimicizia fra Bishkek e Tashkent per via dei problemi legati all’energia di ritorno: il Kirghizistan produce elettricità tramite le proprie centrali idroelettriche ma gli elettrodotti – costruiti ai tempi dell’URSS, quando i due paesi appartenevano a un’unica entità statuale – sconfinano in Uzbekistan e in Kazakistan dove si trovano anche le cabine di trasformazione; Bishkek è costretta così a prezzi molti alti l’energia che produce. Non solo gli uzbeki, ma anche molti kirghisi del sud hanno disertato le urne: l’estrema miseria in cui la popolazione è costretta a vivere nei villaggi in provincia di Osh e di Jalal-Abad non favorisce affatto il processo democratico ma contribuisce al proliferare del disincanto e della rassegnazione.

I detrattori di Atambajev

I candidati nemici di Atambajev, il già citato Tashiev e l’indipendente Madumarov, che si è posizionato al secondo posto con il 14,74% dei voti, durante la conferenza stampa seguita alle elezioni hanno denunciato brogli consistenti e tacciato in maniera inaspettatamente arrogante i rappresentanti dell’OCSE di non aver saputo e voluto visionare le operazioni di voto, soprattutto nel sud del paese. L’accusa era velatamente rivolta a tutto l’Occidente, reo, secondo i due sconfitti, di aver voluto trapiantare la democrazia occidentale in un contesto assolutamente refrettario a un simile sistema di governo. La risposta della signora Douglas non si è fatta attendere, ed è stata ferma e chiara: le operazioni di voto sono state libere e trasparenti e, nonostante si siano verificati dei casi di brogli e di compravendita di voti, il Kirghizistan ha affermato in maniera inequivocabile la propria volontà di proseguire nel cammino iniziato nell’aprile del 2010. Nella nota finale dell’OCSE, consegnata ai giornalisti prima della conferenza stampa, si esprime un cauto ottimismo nei confronti della democrazia kirghisa, che ha buone possibilità di rafforzarsi nei prossimi mesi, nonostante le pressioni dei paesi confinanti e della Russia di Putin e Medvev.

Entusiasmo e speranze

Al di là di ogni dichiarazione istituzionale, per le strade di Bishkek l’entusiasmo è grande e non vi è il minimo dubbio che Atambaev sia la diretta espressione di un popolo consapevole dei risultati finora raggiunti e delle sfide future che attendono il Kirghizistan. Sui filobus che lentamente percorrono i prospekt della città, alle fermate degli autobus come nei caffè del centro, tutti, soprattutto i giovani, parlano del nuovo presidente e della speranza che ripongono in lui.

Tra Russia, Unione Europea e Cina

Le speculazioni, soprattutto sulla stampa occidentale, non si sono fatte attendere, e molti accusano Atambaev di essere un uomo di Mosca: da capo del governo, Atambaev ha cercato l’appoggio del Cremlino perché non poteva fare altrimenti: la Russia rimane per ora la principale potenza straniera nell’area centro-asiatica. Lo stesso Atambaev, affiancato dal Presidente della Repubblica Roza Otunbaeva, non ha però trascurato di rafforzare i rapporti con l’UE e con la Cina, che giocherà nei prossimi anni un ruolo chiave nell’area centro-asiatica, fino a sostituire la stessa Russia e gli Usa. In ogni caso, per giudicare il nuovo Presidente bisognerà attendere l’anno prossimo, perché fino al 31 dicembre rimane in carica Roza Otunbaeva.

 

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Un commento

  1. molto interessante, molto informato, molto chiaro questo articolo del vostro inviato…tutta l’area merita maggiore interesse, nei prossimi anni.

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