Tra i volti “nuovi” della Commissione dell’Unione europea guidata da Ursula von der Leyen appena insediatasi a Bruxelles, spicca quello di Josep Borrell, quale Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, carica ricoperta dall’italiana Federica Mogherini nella commissione uscente presieduta da Jean-Claude Junker.
Borrell, il pragmatico
Settantadue anni, socialista, noto gaffeur (sua la battuta con cui avrebbe liquidato lo sterminio dei nativi d’America come “l’uccisione di quattro indiani”), Borrell è però un politico di lungo corso, conosciuto per il suo carattere schietto e diretto (anche troppo secondo i detrattori), apertamente critico con il presidente americano, Donald Trump, e con la Russia, definita come “vecchio nemico”. E, dettaglio non trascurabile volendo analizzare la sua figura in ottica balcanica, Borrell è spagnolo, già ministro degli esteri del governo di Pedro Sanchez nel biennio 2018-2019.
Il dettaglio ha una sua rilevanza dato che la Spagna è nel novero dei paesi a non aver riconosciuto formalmente il Kosovo, diniego legato a doppio filo con cause tutte interne e con le mire indipendentiste della Catalogna. Mire peraltro rinnegate da Borrell stesso che, sebbene catalano, si è sempre dichiarato contrario a qualsivoglia ipotesi di scissione. Intervistato sulla questione, il neo commissario, si è affrettato a precisare che il tema del riconoscimento del Kosovo non rientra nelle sue prerogative, in quanto demandato direttamente agli Stati membri.
UE protagonista nei Balcani e nel mondo
Ciononostante, la nomina di Borrell, il cui nome come “ministro degli esteri” europeo aveva preso quota già dal luglio scorso, è stata accolta con un certo ottimismo dai paesi dell’area. E ciò in ragione del fatto che egli ha mostrato, fin da subito, un marcato interesse per i Balcani; al punto da affermare pubblicamente di ritenere prioritari “i Balcani e il fronte orientale dell’Europa” evidenziando, in particolar modo, la necessità che Kosovo e Serbia tornino a dialogare affinché si trovi finalmente una soluzione di compromesso alla loro decennale disputa, tra veti, “dispetti” istituzionali e dazi iperbolici.
Dialogo finito da mesi su un binario morto, non senza gravi responsabilità dell’Unione europea, anche come conseguenza dell’atteggiamento ondivago e timidamente “aperturista” tenuto dalla commissione Junker in merito all’ipotesi dello scambio dei territori tra Kosovo e Serbia. Ipotesi definitivamente tolta dal tavolo della discussione da Borrell, il quale ha più volte ribadito la propria contrarietà a qualsiasi ridefinizione dei confini tra Kosovo e Serbia, che avrebbe come conseguenza quella di creare unità etnicamente omogenee, contrarie allo spirito europeo come “aggregazione di popoli diversi che vivono insieme”. Fuor di retorica è chiaro che il timore dell’Alto rappresentante sia, molto più pragmaticamente, quello di innescare un effetto domino che potrebbe avere conseguenze imprevedibili e potenzialmente dirompenti per la regione.
La presa di posizione di Borrell sembra segnare, dunque, un elemento di discontinuità con chi l’ha preceduto non solo nel merito quanto nel metodo: chiarezza di posizione contro tentennamenti, desiderio di governare gli eventi contro quell’equidistanza di maniera che, specie in un contesto come quello balcanico, si è tradotta troppo spesso in debolezza e scarsa autorevolezza.
I Balcani come banco di prova
Ed è proprio il desiderio di ridare all’Europa quel ruolo da primattore che le spetta nel proscenio mondiale che traspare, inequivocabilmente, dalle prime parole di Borrell come responsabile della politica estera comunitaria. In questo contesto Borrell è ben consapevole di come i Balcani costituiscano un banco di prova imprescindibile per riaccreditare l’Europa come potenza geopolitica attendibile e che, nello specifico, solo un ritrovato prestigio potrà consentire di arginare la crescente influenza nell’area degli altri interpreti internazionali: Cina e Russia, ma anche Turchia, su tutti.
L’interesse del neo-commissario, dunque, non è filantropico, se così vogliamo dire, ma si inquadra in un preciso e ambizioso quadro strategico. Ambizione che, sul tavolo balcanico e in particolare su quello della relazione tra Kosovo e Serbia, dovrà fare i conti con la posizione statunitense storicamente più disponibile allo scambio dei territori, posizione perfettamente incarnata dal nuovo inviato speciale per il dialogo Kosovo-Serbia, Richard Grenell. La misura, pertanto, di quanto la nuova visione strategica di Borrell funzioni e di quanto il rinnovato desiderio di protagonismo europeo abbia chance di successo sarà data, anche, da quanto egli riuscirà a far prevalere la posizione dell’Unione su quella americana.
Partita complessa, però, quella che dovrà giocare: dopo le elezioni dell’ottobre scorso, gli interlocutori in Kosovo sono cambiati e sarà dirimente vedere quanto il primo ministro in pectore, Albin Kurti, voglia effettivamente arroccarsi sulle proprie posizioni nazionaliste e sulla dichiarata scarsa disponibilità al dialogo con Belgrado, più volte espressa prima del voto.
Non è un caso che Borrell abbia affermato che la sua prima visita da Alto commissario sarà a Pristina, capitale di quel Kosovo che la “sua” Spagna non riconosce ma che appare, sempre più chiaramente, rappresentare il fulcro attraverso cui ruota l’intera stabilità dei Balcani.