Il terremoto albanese è già uscito dalle colonne dei nostri giornali, le cinquantuno vittime e i sei bambini morti sotto le macerie non fanno più notizia. Tra pochi giorni, forse tra pochi minuti appena, dimenticheremo. Altre notizie riempiranno palinsesti, il circo mediatico metterà in scena per noi un nuovo spettacolo. Ma il terremoto albanese non è uno spettacolo da consumare e dimenticare. Ci riguarda da vicino. Ci riguarda tutti.
Gli albanesi sono noi
Non solo per ovvie ragioni umanitarie, per la solidarietà che sempre si deve in questi casi e che trascende i confini delle comunità e degli stati, ma per ragioni di ordine storico e sociale. Perché – e sarebbe ora di capirlo – gli albanesi sono noi.
Lo sono dai tempi delle migrazioni arbëreshë del XV secolo, quelli che oggi vengono chiamati italo-albanesi. Ma italo-albanesi sono ormai anche coloro che arrivarono nel 1991 in fuga verso Lamerica. E ci fu indifferenza, italica barbarie, “ributtiamoli a mare”, e altre caramelle velenose di un popolo razzista cresciuto a boom economico, pane bianco, utilitaria in giardino, vacanze ai mari o ai monti, illusioni di un benessere che quella sberla di realtà rappresentata dai barconi albanesi metteva in discussione. Ma loro, gli albanesi, hanno vinto.
Sono circa cinquecentomila gli albanesi residenti in Italia. E ci sono i loro figli, altri italo-albanesi, a riempire le aule delle scuole, nati lungo lo stivale, con un cuore bicipite – come la bandiera – che guarda alle due sponde dell’Adriatico e le chiama entrambe casa.
‘Dalla paura non avranno fatto colazione’
E non è un caso che dai bambini venga la più profonda e sincera solidarietà. Perché la nazione dei bambini non ha confini. Perché ci sono i compagni di classe che di là dal mare hanno parenti, famiglie e macerie. E sebbene sia passata sotto silenzio, la compassione – che è, etimologicamente, soffrire insieme – rende i più piccoli maestri dei più grandi. Una bambina di Agordo, ad esempio, ha scritto una lettera alla Protezione Civile italiana in cui raccontava -nello stampatello incerto della sua età, di aver appreso del “fortissimoooo” terremoto dalla televisione e di aver pensato “a tutti i bambini che dormivano nei loro lettini caldi, vicino a mamma e papà o con i fratellini: si saranno spaventati tantissimo. Dalla paura non avranno nemmeno fatto colazione“. E alla lettera allega cinque euro da mandare in Albania perché “io non so l’albanese – prosegue la lettera – ma vorrei dire a quei bambini che voglio essere la loro amica del cuore”.
Le nude mani
Ecco, potrebbero bastare queste parole. Ma un dato va aggiunto: sono circa 20mila all’anno gli ingressi di albanesi in Italia. Il flusso migratorio non si è affatto arrestato negli anni, come invece raccontano certi giornali. E non è vero che l’Albania si sia trasformato in un eldorado per gli imprenditori italiani. L’Albania resta un paese con enormi problemi ed è per questo ancor più meritoria e necessaria la solidarietà verso un popolo che, privo di adeguato equipaggiamento, ha scavato letteralmente a mani nude tra le macerie per salvare quante più persone possibile.
Ma le nude mani non bastano. Servono soldi. Se lo scorso ottobre il presidente francese Macron avesse aperto, come previsto, i negoziati per l’adesione dell’Albania all’Unione Europea, oggi il paese potrebbe accedere a 60 milioni euro per il post terremoto tramite Meccanismo europeo di solidarietà, aperto ai paesi negozianti. Il veto francese non ha trovato adeguata opposizione dal governo italiano. Lo stesso governo che ha mandato aiuti, uomini e mezzi – ma non abbastanza – per far fronte all’emergenza terremoto.
Sarebbe però ora che nel nostro paese si capisse che abbiamo delle responsabilità storiche verso l’Albania e che dovremmo spenderci in ogni modo, diplomatico oltre che materiale, per sostenere quel paese. La solidarietà non basta.
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Fonte immagine: il Dolomiti