Il summit per il 70esimo anniversario della NATO tenutosi a Londra tra il 3 e il 4 dicembre 2019 non ha visto solo la partecipazione di figure importanti quali Donald Trump, Justin Trudeau, Boris Johnson ed Emmanuel Macron. A guardare bene la foto di gruppo dei leader dell’alleanza atlantica, nella seconda fila, proprio dietro il premier canadese e a soli due posti dal primo ministro italiano Giuseppe Conte si può individuare il capo del governo ungherese Viktor Orbán.
Nonostante i racconti della stampa internazionale si siano concentrati sulla questione del budget della NATO, sulla definizione di terrorismo in critica alla Turchia e sulla gaffe di Trudeau registrato a sua insaputa mentre derideva Trump, il leader ungherese ha raccontato alla propria stampa un summit diverso.
Il film che ha visto Orbán
Secondo Viktor Orbán, al summit NATO: “un’importante elemento di identità per le forze cristiane”, i leader hanno riconosciuto la migrazione di massa come uno dei rischi più grandi per i paesi dell’alleanza insieme al terrorismo. Nel riconoscere il lavoro del proprio ministro degli esteri Péter Szijártó, il primo ministro ungherese ha affermato che questo riconoscimento da parte della NATO è avvenuto per merito dei paesi del centro Europa che hanno spostato l’attenzione verso la migrazione di massa e il terrorismo ad esso associato.
Poco importa che la NATO, in virtù della presenza della Turchia, sia tutto tranne che un’alleanza tra forze cristiane. Poco importa che, come chiarito da Macron, la definizione di terrorismo sia diventato il termine più strumentalizzato del panorama politico dei paesi NATO. Queste affermazioni di Orbán sono indice di quanto l’alleanza atlantica sia diventata sempre meno alleanza, e le occasioni di summit non siano altro che uno strumento di propaganda col quale ciascun leader cerchi di perseguire la propria agenda nazionale.
La questione ucraina
Il completo disallineamento ideologico tra i leader dei paesi della NATO ha fatto sì che gli incontri diventassero un’occasione di scontro più che un incontro solidale tra forze che condividono una determinata visione del mondo. Lo dimostra il fatto che nell’impedire l’accesso dell’Ucraina alla NATO, l’Ungheria “faccia il gioco della Russia“, rivale ed antagonista storico dei paesi dell’alleanza.
Infatti, come ribadito da Szijártó a Londra, l’Ungheria è pronta ad esercitare il veto rispetto all’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Come noto ai lettori di East Journal, l’opposizione magiara all’ingresso di Kiev nell’alleanza atlantica nasce dalla legge del 2017 sull’utilizzo obbligatorio della lingua ucraina nelle scuole del paese. Secondo il governo di Budapest, questa situazione discrimina i circa 150.000 ungheresi che abitano la Transcarpazia. Come chiarito da Szijártó: “Non chiediamo diritti extra per gli ungheresi della Transcarpazia, ma solo quelli che avevano in precedenza”.
La questione della lingua è diventata estremamente delicata in Ucraina a partire dall’erompere del conflitto nell’est del paese. Nonostante le raccomandazioni della commissione di Venezia al governo ucraino per garantire l’insegnamento delle lingue ufficiali dell’Unione Europea alle minoranze del paese, la delicata posizione del governo di Kiev e l’orientamento politico-identitario del governo di Budapest non sembra favoriranno una risoluzione della questione in tempi brevi. Se c’è una cosa che i paesi del centro Europa hanno effettivamente aiutato a chiarire al summit della NATO è che la politica di questi anni ha trasformato l’identità da questione personale ad arma contundente: “Sono Gábor! Sono ungherese! Sono cristiano! Genitore 1 genitore 2”.
Foto: Reuters