Da KIEV – Il primo ottobre scorso ha segnato una svolta per i negoziati tra Russia e Ucraina sull’attuale conflitto nei territori del Donbass. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato la “formula Steinmeier” e, da allora, si sono messi in funzione una serie di processi che potrebbero portare, se non alla fine immediata del conflitto, perlomeno all’instaurazione di un nuovo dialogo tra Kiev e Mosca.
L’idea proposta da Steinmeier (ex-ministro degli Esteri tedesco e attuale presidente) va a completare gli accordi di Minsk, che rimangono al centro dei negoziati. Prevede però che le eventuali elezioni democratiche nelle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk e, soprattutto, il prossimo incontro nel cosiddetto formato Normandia del “Quartetto”, non avranno luogo se non nel rispetto del cessate il fuoco e in seguito al ritiro di entrambe le forze armate (ucraine e russe) dai territori in prima linea. Il ritiro si è finalmente concluso una decina di giorni fa nelle zone di Stanitsa Luhanska e Zolote per Luhansk, e Bohdanivka e Petrivske per Donetsk.
Nel tentativo di instaurare un dialogo tra Kiev e Mosca, i leader di Francia, Germania, Russia e Ucraina hanno quindi annunciato la data del prossimo incontro: il 9 dicembre a Parigi. Annuncio ancora non commentato in modo più approfondito dal Cremlino. “L’instaurazione della pace deve venire da entrambe le parti, non è assolutamente possibile pensare alla fine del conflitto unilateralmente”, ha ribadito più volte Zelensky da quando è presidente. Ma numerose sono le speranze, e diversi attivisti locali e organizzazioni internazionali stanno lavorando a fondo sulla questione. Lo dimostra anche la seconda edizione del Forum Internazionale sul Donbass, tenutasi a Kiev lo scorso 13 e 14 novembre.
Formule per una reintegrazione
“Reintegrazione del Donbass – miglioramento della situazione umanitaria e potenziamento dei contatti interpersonali nella regione colpita dal conflitto”: questo il tema della seconda edizione del forum, organizzato dalla piattaforma indipendente CivilMPlus e dall’organizzazione non-governativa DRA, in partenariato con il ministero degli Esteri della Repubblica slovacca. L’obiettivo è stato quello di costruire una solida rete di attori istituzionali, diplomatici e civili al fine di collaborare per migliorare le condizioni nella zona colpita dal conflitto e fare il punto sullo stato attuale della situazione nel Donbass, riflettendo su problemi e sfide da affrontare. I partecipanti hanno avuto modo di esprimersi e parlare dei problemi che affrontano quotidianamente, quali le difficoltà nell’assicurare delle condizioni di vita normali per i cittadini. Numerosi gli approfondimenti trattati durante queste due giornate, modulate secondo un fitto programma di tavole rotonde.
Il dibattito si è aperto con la domanda: “Che cosa significa esattamente ‘reintegrazione’?” Secondo Oleg Martynenko, responsabile del dipartimento analitico dell’Unione ucraina per i diritti umani, la reintegrazione è “libertà di movimento e libero scambio di informazioni (ma non uno scambio di propaganda e immondizia informativa)”. Le opzioni che possono far avanzare questo processo di reinserimento di territori e persone sono molteplici e gli esempi storici più recenti lo dimostrano: la riunificazione pacifica della Germania dell’est dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989, o la reintegrazione delle enclavi serbe in Croazia negli anni ‘90. Ma questi noti esempi, aggiunge Martynenko a margine, non sono per forza adattabili in Ucraina.
L’esperta di diritti umani Branka Sesto riflette proprio sul caso croato, spiegando brevemente ciò che è accaduto nella regione della Slavonia durante le guerre jugoslave. In seguito alla reintegrazione nella Croazia di questi territori rimangono a suo avviso due problemi fondamentali nell’area: l’isolamento di alcuni villaggi, vuoti a causa dell’esodo forzato dei serbi, e l’assenza di procedimenti legali per i crimini di guerra. L’esperta ritiene che il termine “reintegrazione” mette tutti sullo stesso piano: tutti devono essere trattati allo stesso modo, quelli che hanno commesso dei crimini devono essere puniti, da entrambe le parti. “Solo così, a distanza di anni dalla fine di un conflitto, nessuno finirà per sentirsi un cittadino di seconda classe” afferma, poi concludendo: “La questione che bisogna porsi, ora, è se si desidera integrare i territori o le persone che ci vivono”.
In riferimento alla reintegrazione di persone / territori, la direttrice del Centro di ricerca per la mediazione e il dialogo presso l’Accademia Moghiliana di Kiev, Tat’jana Kyseleva, ribatte che, se si vogliono reintegrare non i territori, ma le persone, allora è necessario cambiare gli atteggiamenti nei loro confronti. Un’opinione sostenuta dal pubblico e dagli altri relatori, tra cui Artem Salichov, Consigliere del ministro dei Veterani, dei territori temporaneamente occupati e degli sfollati interni dell’Ucraina, che aggiunge: “Lo stato deve creare condizioni dignitose per gli sfollati interni e per tutti i cittadini che si trovano nei territori temporaneamente occupati”.
La situazione umanitaria nelle “zone grigie”
Particolarmente interessante l’intervento di Kostjantyn Reutskyj, direttore esecutivo della fondazione Vostok-SOS, che aiuta le vittime del conflitto nell’Ucraina orientale da quasi sei anni. Reutskyj ha sintetizzato i problemi più urgenti che affrontano gli abitanti dei territori del Donbass vicino al fronte: un numero ingente di queste persone semplicemente non vive, ma sopravvive; le condizioni di vita sono precarie. A livello di infrastrutture, se si ha ancora un tetto sopra la testa, manca spesso l’acqua o le forniture di gas ed elettricità; le strade sono in pessime condizioni e i trasporti pubblici, dove funzionano, sono estremamente scadenti. Spostarsi e muoversi liberamente, accedere agli uffici (improvvisati) dell’amministrazione locale, all’istruzione e ai servizi sanitari sono problemi reali.
I villaggi in prossimità delle “zone grigie” sono quelli che, in generale, riscontrano le difficoltà maggiori: essendo zone neutrali, formalmente sotto la giurisdizione dell’Ucraina ma di fatto prive di un controllo statale, sono oggi sorvegliate da pochi poliziotti spesso disarmati. “Non tutti i paesini con bambini in età scolare hanno degli scuolabus. Ad esempio, i bambini di Katerynivka devono camminare per diversi chilometri fino allo fermata; l’autobus raggiunge poi il check-point che divide il territorio controllato ucraino da quello controllato dai separatisti”, racconta Reutskyj. “Ma ci sono insediamenti in cui lo scuolabus non risolve affatto questo problema. Ad esempio, nella regione di Luhans’k, a Lobačevo, diversi chilometri di strada sterrata separano i bambini dalla scuola più vicina, che sono perciò stati semplicemente separati dai genitori e trasferiti in un collegio a 50 chilometri di distanza”.
Sussiste, inoltre, un’evidente carenza di strutture mediche, da ambulatori a farmacie, per non parlare dell’accesso al primo soccorso. Inoltre, molti abitanti non hanno più di cosa vivere perché in questi luoghi, da quando è scoppiato il conflitto, non c’è lavoro. Le persone disoccupate invidiano addirittura i pensionati perché loro, almeno, ricevono un piccolo aiuto (insufficiente, comunque, a soddisfare i bisogni primari). “Il governo di Kiev, finora, non è stato in grado di soddisfare le esigenze di base dei residenti locali anche a causa dell’imminente dispiegamento delle forze armate. E sarà ancora più difficile rispondere a questi bisogni quando tutti questi insediamenti faranno parte della “zona grigia”, al di fuori della giurisdizione ucraina”, conclude Reutskyj.
La politica di reintegrazione del Donbass
La questione della reintegrazione è un processo politico, economico e sociale che dovrebbe essere discusso anche al di fuori della regione del Donbas e della cerchia ristretta di politici locali, in quanto è un problema che riguarda l’intera Ucraina. La reintegrazione non è un ritorno allo stato precedente, ma la creazione di una nuova visione che dovrebbe fare il possibile per evitare gli errori del passato.
Stefan Melle, direttore dell’organizzazione non-governativa DRA, riassume chiaramente il dibattito sui meccanismi internazionali di risoluzione del conflitto che si è focalizzato sul “format Normandia” e sul gruppo che forma il cosiddetto “Quartetto”. A riguardo, sono intervenuti diversi esperti, tra cui Aleksej Makeev, direttore del dipartimento politico del ministero degli Affari esteri dell’Ucraina, che ha criticato i formati di negoziazione esistenti. “Sono necessari, e non ce ne sono altri, ma non portano ad alcun risultato perché la Russia non è interessata a risolvere il conflitto”.
Nel discorso di apertura, come in chiusura, di questo forum sul Donbass, l’ambasciatore a capo della delegazione europea in Ucraina, Matti Maasikas, afferma: “L’Ucraina ha fatto grandi passi avanti per risolvere il conflitto; ora ci aspettiamo che anche la Russia faccia la sua parte”.
Questo articolo è frutto di una collaborazione editoriale con OBCT.
Immagine: Angelchev Spyrydon/Shutterstock