Centinaia di manifestanti di estrema destra e conservatori sono scesi in strada questo fine settimana nel tentativo di bloccare la prima del film “And Then We Danced” in 6 cinema georgiani. Il film – una coproduzione svedese-georgiana diretta dal regista Levan Akin – racconta la storia di Merab, giovane ballerino nell’Ensemble nazionale georgiano che, innamoratosi del proprio rivale, si trova a compiere un percorso di emancipazione e scoperta della propria sessualità in un contesto fortemente patriarcale.
La più grande protesta contro il film si è svolta nel pomeriggio di venerdì 8 novembre di fronte al cinema Amirani di Tbilisi: centinaia di manifestanti vi si sono radunati scandendo slogan nazionalisti e gridando “vergogna” al pubblico che si era recato ad assistere alla proiezione. Dopo aver lanciato petardi e bruciato una bandiera arcobaleno (o presunta tale), i manifestanti di estrema destra hanno cercato di fare irruzione all’interno del cinema, venendo però fermati dalle forze di polizia in tenuta antisommossa.
Nel corso degli scontri che hanno avuto luogo nella serata di venerdì nella capitale georgiana, una giornalista e attivista per i diritti della comunità queer, Anna Subeliani, è stata ospedalizzata in seguito alle ferite riportate, mentre 11 persone sono state arrestate per resistenza alle forze dell’ordine. Alla fine del weekend, gli arresti a Tbilisi e Batumi – città portuale sul Mar Nero dove gli spettatori del film sono stati attaccati con delle uova – saranno 28 in totale.
Un affronto ai “valori tradizionali georgiani”
Nei giorni precedenti alla première, vari appelli a boicottare la proiezione del film, anche con l’uso della forza, erano stati lanciati da note personalità del mondo conservatore e di estrema destra. Tra queste, l’imprenditore Levan Vasadze (figura controversa a causa dei suoi legami con gruppi ultra-ortodossi e anti-abortisti russi) che già a maggio di quest’anno aveva cercato di impedire lo svolgimento del Tbilisi Pride, il leader del gruppo ultra-nazionalista Marcia Georgiana Sandro Bregadze, e altri rappresentanti di organizzazioni “anti-gender” – tutti presenti venerdì 8 novembre nei pressi del cinema Amirani.
Pur dissociandosi dalla violenza, anche la Chiesa Ortodossa Georgiana aveva rilasciato una dichiarazione in cui condannava la “divulgazione della sodomia“ e definiva il film “un grave attacco alla Chiesa e ai valori nazionali”. Paradossalmente, proprio nelle scorse settimane l’influente istituzione religiosa era stata scossa da uno scandalo riguardante alcuni suoi esponenti di alto rango, accusati di molestie sessuali e pedofilia.
Per fronteggiare le eventuali proteste e garantire la sicurezza degli spettatori, il Ministero dell’Interno georgiano aveva ordinato un dispiegamento importante di forze di polizia nei pressi dei cinema, dichiarando di voler proteggere “i diritti umani e la libertà d’espressione senza distinzione di genere, religione, orientamento sessuale o opinioni politiche”. Tali misure hanno assicurato che la proiezione del film potesse svolgersi per tre giorni, come da calendario, nei principali cinema di Tbilisi e a Batumi – con tutti i 6000 biglietti già andati esauriti.
Specchio della società?
In Georgia, le polemiche legate all’uscita di “And Then We Danced” erano scoppiate già nel maggio di quest’anno, quando il film era stato presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes. Fuori dai confini georgiani il film ha già ricevuto un ottimo successo di critica ed è anche stato selezionato per rappresentare la Svezia nella categoria International Feature Film (miglior film internazionale) agli Oscar 2020.
Pochi giorni prima della première georgiana, in un messaggio riportato dal sito Indiewire, il regista Levan Akin (nato in Svezia da genitori georgiani) aveva commentato: “La situazione tesa e minacciosa che precede l’uscita del mio film in Georgia mi spezza il cuore. Ho girato questo film con amore e comprensione. E’ la mia lettera d’amore alla Georgia e alle mie origini. Con questa storia ho voluto reclamare e ridefinire la cultura georgiana per far sì che essa sia di tutti, e non solo di alcuni. […] Sfortunatamente viviamo in tempi bui, e le proteste non fanno altro che confermare quanto sia vitale opporsi a queste forze cupe in ogni modo possibile”.
Come avevamo spiegato in una recente puntata di Kiosk, portando sul grande schermo la situazione ancora difficile della comunità LGBT nel paese, “And Then We Danced” rivela una serie di divisioni e conflitti sociali, politici e generazionali propri alla società georgiana. Le proteste omofobe dello scorso fine settimana dimostrano anche che, sebbene queste tematiche restino controverse e facilmente manipolabili, le autorità georgiane possono e devono farsi responsabili nel garantire i diritti della comunità LGBT – e non solo nei cinema.
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Immagine: Mari Nikuradze/OC Media