La Corte di stato della Bosnia Erzegovina ha condannato in primo grado Radomir Šušnjar, detto “Lalco”, a vent’anni di carcere per crimini di guerra contro la popolazione civile di Višegrad durante l’offensiva serbo-bosniaca del giugno 1992. Šušnjar è stato dichiarato responsabile della morte di 26 persone, arse vive durante l’incendio appiccato in via Pionirska. Tra questi, anche un neonato di due giorni.
“Tali crimini contro bambini, donne e anziani sono stati commessi in modo crudele. L’imputato non ha mostrato alcun rimpianto o rimorso per le sue azioni. Il verdetto deve servire da messaggio alle vittime e alle loro famiglie che non saranno mai dimenticate”, aveva affermato il procuratore Seid Marusić. La giudice-capo Enida Hadžiomerović ha condannato Šušnjar a vent’anni – la pena massima prevista dal codice penale jugoslavo allora in vigore, senza attenuanti. La difesa ha annunciato che farà ricorso.
Šušnjar era stato arrestato nel 2014 a Parigi, dove era stato individuato dall’associazione TRIAL. Nel 2018 era stato estradato in Bosnia Erzegovina. I co-autori dell’eccidio, Milan e Sredoje Lukić, erano già stati condannati rispettivamente all’ergastolo e a 27 anni nel 2009 dal Tribunale dell’Aja per crimini di guerra a Višegrad, incluso l’eccidio di via Pionirska, mentre Šušnjar era ancora latitante.
Gli eccidi di Višegrad
Il 14 giugno 1992 Šušnjar era tra i paramilitari serbo-bosniaci che avevano occupato la città di Višegrad, alla frontiera con la Serbia. Assieme a Milan e Sredoje Lukić, Šušnjar deportò vecchi, donne e bambini del villaggio di Koritnik, derubandoli, incluso dei vestiti, e costringendoli ad entrare in una casa di via Pionirska. Subito dopo, i tre iniziarono a sparare e a lanciare granate dentro la casa, che prese fuoco. Solo otto persone sopravvissero all’eccidio, di cui tre scomparvero presto. I resti di coloro che furono uccisi, traslati in varie fosse comuni, non sono mai stati ritrovati.
Come ricorda Hikmet Karčić, quello di via Pionirska fu uno dei due casi in cui civili bosniaci furono bruciati vivi dalle milizie serbo-bosniache a Višegrad, assieme all’incendio della casa di Meho Aljić a Bikavac commesso dagli stessi autori il 27 giugno 1992, dove morirono altre 60 persone.
La storia di Ismeta
Ismeta Kurspahić, nata nel 1960, fu una delle vittime dell’eccidio del 14 giugno 1992, ricorda sempre Hikmet Karcic. Durante il processo d’appello a Milan e Sredoje Lukić, i suoi resti furono ritrovati in una fossa comune nel cimitero di Stražiste a Višegrad – unico caso tra le vittime di via Pionirska. La difesa cercò di usare tale circostanza per screditare i testimoni dell’accusa, sopravvissuti all’eccidio, che la avevano vista entrare nella casa.
Tramite una steccatura ritrovata assieme alle ossa (qui le foto), gli investigatori risalirono ai registri dell’ospedale di Višegrad. I registri confermarono che Ismeta, sopravvissuta al massacro, fu ricoverata il 18 giugno e le furono somministrate dose massicce di antidolorifici, iniezioni e bendaggi. Come sia poi comunque finita in una fossa comune non è dato sapere – secondo Karčić, i paramedici potrebbero aver informato i paramilitari, poi passati per terminare il lavoro, come già accaduto in casi simili. Il 25 maggio 2011 Ismeta è stata sepolta nel cimitero di Stražiste a Višegrad, lo stesso luogo in cui il suo cadavere era rimasto nascosto per vent’anni.
Višegrad dalla guerra ad oggi
A Višegrad, città fino ad allora a maggioranza musulmana, tra aprile e giugno 1992 all’avvio del conflitto le forze serbo-bosniache uccisero tra 1.500 e 3.000 civili. Molti di loro furono gettati nella Drina dal ponte reso famoso dall’omonimo romanzo di Ivo Andrić. Le donne bosgnacche furono inoltre sottoposte a stupri di massa, in località quali l’hotel Vilina Vlas. Per tali crimini, incluso l’eccidio di via Pionirska, i paramilitari Milan e Sredoje Lukić furono condannati all’Aja rispettivamente all’ergastolo e a 27 anni.
Višegrad si trova oggi nei confini della Republika Srpska, l’entità autonoma a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina. La popolazione della città è dimezzata (10.000) e vi abitano per il 90% serbi, mentre nel 1992 due terzi dei residenti erano bosniaci musulmani – l’esito della campagna di pulizia etnica. Sulla riva del fiume Drina, il cineasta serbo-bosniaco Emir Kusturica ha fatto erigere la cittadella di Andrićgrad. Un memoriale per le vittime di Višegrad è stato allestito nel 2012, da cui nel 2014 le autorità municipali hanno fatto cancellare la parola “genocidio”. La locale maggioranza politica serbo-bosniaca continua a negare l’estensione dei crimini di guerra. Solo lo scorso marzo, i cetnici della Ravna Gora sono scesi per le strade di Višegrad portando le stesse uniformi nere ed insegne coi teschi utilizzate dai paramilitari durante la guerra in Bosnia negli anni ’90.
Il ruolo della cooperazione regionale nel garantire giustizia per le vittime
Il procuratore capo del Meccanismo ONU per i tribunali internazionali (ex ICTY), Serge Brammertz, in visita a Sarajevo, ha sottolineato la necessità di rafforzare la cooperazione regionale per la risoluzione dei crimini di guerra e delle persone scomparse. I ricercati, ha ricordato Brammertz, trovano spesso rifugio nei paesi vicini (Croazia e Serbia), di cui hanno una seconda cittadinanza e da cui non possono venire estradati.
Ascolta anche: Il racconto di Bakira Hasečić, presidente dell’associazione delle donne vittime di guerra di Višegrad, raccolto da Andrea Oskari Rossini e Nicole Corritore per RSI.