Nella cittadina croata di Cista Provo, al confine con la Bosnia, alla fine di ottobre sono comparsi due grandi manifesti, simili a quelli che danno il benvenuto ai turisti, a lato della strada. Al posto dell’immagine di una località di villeggiatura, però, sui cartelloni campeggia la foto di un migrante, ferito e sanguinante, che si copre gli occhi con una mano bendata. Sopra l’immagine, su uno c’è la scritta Welcome to Croatia, sull’altro Croatia full of torture.
I manifesti sono stati installati a Cista Provo a qualche giorno dal parere favorevole della Commissione europea sull’ingresso della Croazia nello spazio Schengen, area in cui in cui non si effettuano controlli alle frontiere. L’intervento di sensibilizzazione è opera di artisti e attivisti che criticano la gestione dei propri confini da parte della Croazia.
Negli ultimi anni il paese, entrato nell’Unione Europea nel 2013, è stato più volte accusato di usare eccessiva durezza contro i migranti che tentano di entrare in Europa attraversando il confine croato e di attuare respingimenti violenti e illegali.
Il parere della Commissione
Dopo quasi quattro anni di valutazione, secondo la Commissione la Croazia avrebbe soddisfatto tutti i requisiti richiesti per aderire allo spazio europeo di libera circolazione. È quanto si legge in una nota del 22 ottobre scorso. Il Commissario per gli Affari interni Dimitris Avramopoulous, in un incontro con la stampa, ha sottolineato i progressi fatti negli ultimi anni dalla Croazia, ribadendo che l’adesione a Schengen porta con sé, oltre a libertà e privilegi, molte responsabilità. Già nel 2017 il presidente della Commissione uscente Jean-Claude Juncker, nel suo discorso sullo stato dell’Unione aveva espresso il suo sostegno all’entrata della Croazia in Schengen.
Una delle condizioni poste dall’UE è poter garantire la sicurezza delle proprie frontiere esterne, elemento diventato fondamentale dopo la crisi dei migranti del 2015. La Croazia confina per 1.300 chilometri con Bosnia e Serbia, paesi extra-Ue che si trovano sulla rotta balcanica e sono tuttora attraversati da migliaia di persone che tentano di entrare in Europa per cercare una vita migliore.
Accuse e ammissioni
Secondo i report indipendenti delle associazioni del Border Violence Monitoring Network, i respingimenti di migranti dalla Croazia verso la Bosnia sono una pratica sistematica della polizia di frontiera. Questi comportamenti violano il principio di non-refoulement, ovvero il divieto di allontanare persone verso paesi per loro non sicuri. Il rapporto di agosto del network stima in quasi 12.000 i pushback nei primi 8 mesi del 2019. Nell’ultimo paio d’anni sono state centinaia le testimonianze dirette raccolte dagli operatori che parlano di percosse, insulti e umiliazioni da parte della polizia croata verso chi cerca di attraversare il confine. In molti casi i telefoni dei migranti vengono distrutti, il loro cibo e i loro vestiti confiscati o bruciati.
Le tante accuse circostanziate hanno portato, a giugno, a una ammissione anche da parte della presidente della Repubblica Kolinda Grabar-Kitarovic, che ha fatto sapere che è necessario usare “un po’ di forza” per proteggere le frontiere. Durante l’estate sono arrivate altre conferme, in forma anonima da parte di alcuni componenti delle forze dell’ordine croate.
La Commissione stessa in un paragrafo della sua nota ha riconosciuto come le accuse di respingimento dei migranti e del divieto di accesso alle misure di protezione rimangano ancora una problema da risolvere per la Croazia, sottolineando come la sicurezza dei confini non possa prescindere dal rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali.
Le reazioni
Plaude alla raccomandazione della Commissione la segretaria agli Interni croata, Terezija Gras, che sottolinea come il suo paese sia “in grado di proteggere quello che non è solo il confine della Croazia, ma anche dell’Ue”.
Critica, invece, la posizione della Slovenia: il primo ministro Marjan Sarec ha parlato di una decisione “discutibile” della Commissione europea, definendola una scelta puramente politica. A complicare i rapporti tra i due paesi c’è di mezzo l’annosa disputa sulle acque del golfo di Pirano. Un arbitrato internazionale, nel 2009, diede ragione alla Slovenia, ma Zagabria non ha mai accettato l’esito del lodo, accusando presunte interferenze politiche. Solo a inizio ottobre Lubiana ha minacciato il veto sull’adesione della Croazia se questa non riconoscerà la decisione arbitrale.
Nulla è ancora deciso
Nonostante l’attestato di merito della Commissione, il processo di adesione a Schengen della Croazia non è concluso. Il Parlamento europeo non è ancora stato interpellato sulla questione e, in ogni caso, l’ultima parola ce l’avrà il Consiglio europeo, chiamato a esprimersi all’unanimità sull’entrata croata, dove l’eventuale veto sloveno potrebbe pesare.
Foto: Enough 14