Moltissimi italiani sono passati almeno una volta da Igoumenitsa: insieme a Corfù, la cittadina greca è il primo approdo in cui i moderni turisti raggiungono la Grecia. Come la sua città “gemella” italiana, Brindisi, Igoumenitsa vive intorno al suo porto, che ne ha veramente plasmato la moderna funzione di “porta” dei Balcani: in estate, i traghetti che solcano il mare Adriatico sono ricolmi di turisti e di famiglie della diaspora albanese e turca, che tornano a casa dall’Europa occidentale, partendo da Brindisi, Bari o Ancona, perpetuando un legame millenario tra queste città e la Grecia. A prima vista, Igoumenitsa sembra un luogo senza storia, “brutto” e caotico: invece, la cittadina epiriota ha avuto una sua insospettabile storia “balcanica”, che vale la pena di raccontare.
Un piccolo villaggio e il sogno di un porto moderno
Igoumenitsa è sempre stata nota alla gente di mare. Sin dal Duecento, i veneziani vi hanno costruito un castello e, a partire dal Quattrocento, la piccola baia ha iniziato a passare di mano veneziana e turca con una certa frequenza: in una di queste schermaglie, nel 1685, il castro è stato distrutto a cannonate dal Morosini. Del resto, nei pressi del cosiddetto “Porto delle Gomenizze” hanno avuto luogo numerosi fatti storici e il suo nome compare addirittura in poemi celebrativi in ottave e in uno scritto di Foscolo.
Il legame fortissimo con Venezia ha fatto in modo che il villaggio fosse conosciuto con questo nome (o sue varianti) in tutta Europa. Ad esempio, è nominata Gomenizza in una fortunatissima guida inglese di navigazione dell’Adriatico del 1831: l’autore, Noire, ne descrive la geografia, inclusa l’isoletta di Prasoudi, che ancora oggi si può ammirare dal traghetto all’ingresso della baia dove sorge la città (leggenda vuole che sia stata la roccia lanciata da Polifemo contro Ulisse).
Un missionario inglese, invece, vi soggiornò nel 1847, ospite di nobili albanesi locali, descrivendo un abitato dalle affascinanti fattezze orientali e apprezzando l’ospitalità di Omer Aga e Mustafa Aga, che offrono al visitatore ottimo vino di loro produzione (che si guardano dal bere) e tabacco. Se Corfù era “un avamposto della Cristianità”, Gomenizza era un villaggio abitato principalmente da “maomettani” le cui case sorgevano a chiazze in mezzo agli ulivi.
A un certo punto, la modernità arrivò anche in quest’area dell’Impero Ottomano. Nel 1908, Hamit Bey decise ambiziosamente di rendere La Gomenizza una città capoluogo di distretto con il nome di Resatjé, in onore del suo protettore, Resat Pascià (poi sultano con il nome di Maometto V): fece quindi costruire edifici per i negozi della futura cittadina marittima. Purtroppo per lui e per il sultano, insieme alla modernità arrivarono anche i nazionalismi e, nel 1913, a seguito della seconda guerra balcanica, la regione passò alla Grecia. Molti albanesi che avevano partecipato alla resistenza presero la strada dell’esilio (soprattutto in Italia e a Istanbul) per poi andare ad accrescere la classe dirigente dell’Albania indipendente.
La Ciamuria e i drammi del Novecento
Igoumenitsa si trovava così in una regione con due nomi diversi, che mettevano in risalto le due identità etniche contrapposte: l’Epiro greco e la Ciamuria albanese; con il passaggio alla Grecia, gli albanesi divennero una minoranza e giunsero molti greci dall’Asia minore per popolare l’area. Il comune cui apparteneva il villaggio di Gumenica (questa la variante albanese del nome), che allora contava seicento abitanti, cambiò nome più volte nel giro di pochi anni e, solo nel 1938, viene chiamato Igoumenitsa, che non è altro che il nome originale più l’articolo femminile greco anteposto (del resto, anche in veneziano il nome della città aveva spesso l’articolo).
Fu il dittatore fascista Metaxas ad accentuare le politiche antialbanesi in Epiro, scegliendo Igoumenitsa come capoluogo del distretto epiriota di Tresprozia e dando così un pretesto per l’intervento dell’Italia fascista a sostegno della componente albanese (nel frattempo l’Albania era diventata un protettorato italiano). Nel 1941 la Grecia venne occupata e l’Epiro entrò sotto il controllo diretto italiano e albanese. Personalità politiche originarie di quest’area collaborarono con gli occupanti italiani: Xhemil Dino, un albanese di Preveza, ministro degli esteri dello stato balcanico, venne scelto come Alto Commissario della Ciamuria occupata. Durante la guerra, Igoumenitsa venne distrutta completamente dalle truppe dell’Asse sostenute dalle formazioni nazionaliste albanesi: dell’antico abitato non rimase quasi più nulla a parte le rovine del castello.
Verso una nuova era
Con la liberazione nel 1944, la popolazione albanese, considerata collaborazionista, venne costretta ad abbandonare la regione. Ha inizio la ricostruzione e, negli anni Cinquanta, si iniziò a intuire il potenziale strategico di Igoumenitsa: terminato lo scavo del porto, a partire dal 1960, iniziarono a circolare traghetti destinati a Brindisi, Bari e Ancona.
Hamit Bey aveva avuto ragione. Igoumenitsa scopre la sua vocazione di “porta dell’Europa” destinata a renderla una città di rilievo per la Grecia: il numero di abitanti aumenta vertiginosamente dai trecento degli anni Cinquanta ai 15.000 di oggi e l’abitato si è allarga grazie all’immigrazione di forza lavoro, che, con la fine del comunismo, ha visto l’arrivo (o il ritorno) di molti albanesi nell’antica Ciamuria.
Non si sono calmate le tensioni sociali e Igoumenitsa è diventata un luogo di transito delicato anche per il fenomeno attualissimo dell’immigrazione dal Medio Oriente. Soprattutto dopo il 2010, nei boschi che contornano la città, si è creata The Jungle: migliaia di migranti vi hanno trovato riparo in attesa di varcare quel mare che è sempre stato protagonista della storia tormentata e dell’identità sofferta di una città nata quasi per caso.