CULTURA: E se in realtà il babà fosse polacco?

Considerato uno dei dolci napoletani per eccellenza, il babà, ha in realtà una lunga storia alle spalle. Cela infatti un passato movimentato quasi come quello del suo ispiratore, Stanislao Leszczyński; chiamato anche “il dolce dei Lumi”, è profondamente legato alla storia del secolo che lo ha partorito. Riadattando una frase di Voltaire, si potrebbe dire: “Il babà non è né francese, né polacco, né napoletano, egli è di tutti i paesi”.

Per fare il babà ci vuole un esilio

Il 1 maggio 1737 venne ufficialmente firmato il trattato che pose fine alla Guerra di successione polacca. Stanislao Leszczyński riceve, in cambio del trono che aveva occupato per ben due volte, il ducato di Bar e Lorena. I dispiaceri dell’esiliato sono mitigati dalla passione per la filosofia, la caccia, ma, soprattutto, per l’architettura e le esplorazioni culinarie. In pieno Illuminismo Stanislao si crea la fama di duca illuminato: nel suo esilio dorato alla corte di Lunéville, famosa ai tempi come petit Versailles, si circonda di intellettuali come Montesquieu, Voltaire, Saint-Lambert. A lui si deve poi Place Stanislas di Nancy, un complesso architettonico oggi patrimonio Unesco. Ma i suoi meriti più riconosciuti vengono dal mondo culinario: il suo nome è legato all’invenzione del babà, ma anche ad un altro dolce destinato a lunga fama, la madeleine.
A questo punto la storia si complica e le versioni si dividono.
Secondo la vulgata, l’antecedente diretto del babà sarebbe il kugelhupf alsaziano, che Stanislao trovava però troppo secco e, forse, anche un po’ banale. Insieme al suo capo pasticcere, Nicolas Stohrer, che lo aveva seguito dalla Polonia, decide di bagnarlo nel madera, dando vita alla prima forma del babà. Dopo altri esperimenti si arriva alla versione ultimata: un impasto fatto lievitare tre volte (ancora oggi caratteristica determinante della ricetta), inumidito nel vino liquoroso e arricchito di uvetta e zafferano. Ma perché proprio questi ingredienti?

Un’origine più esotica

Le vicende della Guerra di successione polacca si erano intrecciate alla Grande Guerra del Nord per l’egemonia del Baltico: le vicende personali di Stanislao si legano a quelle del re di Svezia Carlo XII. È grazie a lui che riesce a sedere sul trono polacco la prima volta, dal 1704 al 1709, ed è con lui che divide le pene del primo esilio, nelle terre del sultano Ahmed III, precisamente a Bender, nella Bessarabia (la città è oggi sotto il controllo dell’autoproclamata repubblica di Transnistria). Qui si imprimono nella mente di Stanislao le atmosfere e i sapori orientali, che porterà con sé anche nel secondo, più lungo, esilio.
Questa esperienza potrebbe dare ragione a chi sostiene che il nome del dolce sia stato attribuito dal duca di Lorena in onore della storia “Alì Babà e i quaranta ladroni”, la sua preferita del libro Le mille e una notte, letto e riletto alle porte dell’Oriente nella prima traduzione francese di Antoine Galland, comparsa proprio tra il 1704 e il 1717. Tesi sostenuta anche da una attestazione scritta dello stesso Stanislao.
Un altro filo potrebbe però legare il nome ad un dolce tradizionale polacco, il Babka o baba (letteralmente ‘vecchia signora’, probabilmente perché la forma ricorda le pieghe di una gonna), la cui ricetta è molto simile a quella del kugelhupf: non è così improbabile che sia questo il vero antecedente del babà, un dolce che sembra essere nato per dare gioia ad un esiliato polacco, unendo sapori di casa e ricordi.

Un futuro cosmopolita

Dalla corte di Lunéville, la moda arriva a Parigi: la figlia di Stanislao, Maria Leszczyński, era nientedimeno che la moglie di Luigi XV! Le mode, si sa, cambiano e la ricetta portatale personalmente da Stohrer, che apre una pasticceria nella capitale, subisce alcune modifiche, più in linea con i gusti cittadini: prima di tutto la forma a fungo, poi il liquore. Da poco sul mercato europeo, il rum giamaicano aveva conquistato i palati dell’alta società e il nuovo alcolico spodesta il madera. Questa ultima versione sembra essere rimasta nel ricettario di Versailles. Anche sotto Luigi XVI il dolce è amatissimo e la sorella di Maria Antonietta, Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando IV di Borbone, la importa uguale a fine secolo alla corte partenopea, dove il babà trova la sua casa definitiva.

Interferenze (o le intermittenze del cuore?)

Il dolce segue però anche un altro percorso: nell’Ottocento l’avvocato e gastronomo Jean Anthelme Brillat-Savarin rivisita la ricetta. La forma diventa a ciambella, per mantenere la giusta umidità il dolce viene spennellato di marmellata di albicocche.
Il mondo francese era uno dei vettori dell’occidentalizzazione nell’Est Europa: il savarin fa così ritorno nella terra dove tutta questa storia è iniziata. L’influenza francese è stata fortissima in Romania, per esempio, dove la savarină conserva ancora un posto d’onore nelle cofetării; oggi però la ricetta, in una patina dal sapore un po’ comunista, sostituisce il rum con la sola essenza di rum.
Stanislao si lamentò in una lettera a Voltaire che il suo amato “Alì Babà” fosse stato volgarizzato dalle mode parigine, “perdendo di leggerezza e di memoria”. Anche i re sbagliano. Tante stratificazioni e influenze dopo, sembra invece che di memoria e di leggerezza le sue “creature” dolciarie abbiano riempito e unito l’Europa.

foto: giallozafferano

Chi è Andreea David

Nata in Romania nel 1995, attualmente studia Filologia moderna presso l'Università degli studi di Padova. Un po' romena un po' italiana, cerca il suo posto nel mondo scrivendo su East Journal di cultura e amenità.

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