Un nuovo muro divide l’Europa, la frattura fra l’oriente e l’occidente europeo sembra oggi più profonda che mai. Quindici anni dopo l’allargamento dell’UE verso i paesi dell’area centro-orientale, il solco tra vecchi e nuovi membri si è approfondito al punto da dare luogo a una vera e propria crisi dell’assetto europeo, con una regressione democratica sempre più evidente nella parte orientale del vecchio continente.
Nei paesi fondatori, Francia in testa, si parla sempre più apertamente di “errore” o, più diplomaticamente, si definisce “prematuro” l’allargamento a est. Non a caso la Francia ha bloccato i negoziati per Albania e Macedonia del Nord. In Germania e nei paesi del nord si diffonde l’idea di un’Europa a due velocità nella quale i paesi con le economie più avanzate e meglio integrate possano procedere lungo la via delle riforme senza il gravame dei paesi centro-orientali. Ma quanto questa frattura è reale e quanto percepita? Quali sono le ragioni di questa divisione?
Storia di un malinteso
Più volte abbiamo ribadito su queste colonne quanto sia sbagliato, inutile e deleterio gettare la croce della crisi europea sui paesi dell’Europa orientale, senza nemmeno fare lo sforzo di capire le ragioni e la storia di quella parte d’Europa. Esistono infatti differenti aspettative riguardo al progetto europeo.
I paesi occidentali vedono l’UE come percorso di progressiva unificazione europea. Ai nuovi membri è stato richiesto di aderire a degli standard precedenti, incorporando nel proprio sistema istituzionale le centomila pagine di acquis communautaire di fatto fotocopiando le norme stabilite prima e senza di loro. Non c’è stata reciprocità nell’adesione dei paesi dell’est.
Non c’è stata considerazione per l’idea di Europa che, in cinquant’anni di repressione totalitaria, i paesi dell’est avevano sviluppato. Un’idea che andava molto oltre il semplice “mercato comune” ma che vedeva nell’ingresso UE un “ritorno all’Europa” che era, di fatto, un ritorno a sé stessi, alla propria tradizione nazionale e culturale dopo la cupa parentesi comunista, coltivando al contempo un certo risentimento nei confronti di un progetto che è stato costruito senza di loro. Da qui la convinzione e l’intenzione di poter affermare la propria visione dell’Europa. Una visione in cui l’unificazione politica del continente non è un orizzonte auspicabile.
I paesi fondatori ritenevano invece che, dopo l’allargamento a est, l’Unione sarebbe stata la stessa di prima, solo più grande. E sarebbero stati loro, gli occidentali, a indirizzarla in quanto ‘proprietari’ del progetto sulla scorta di una visione carolingia dell’Europa.
Occorre infine considerare che mentre da un lato i paesi dell’est finalmente liberati dalla cattività comunista procedevano nello state building, ricostruendo la nazione ritrovata, dall’altro la sovranità appena acquisita veniva reclamata dal processo di integrazione europea. Si è trattato di un passaggio difficile e per certi versi doloroso che ancora non può dirsi accettato e risolto.
Stato e nazione
In molti paesi dell’Europa occidentale è lo Stato ad avere creato la nazione. È stato così in Francia, in Spagna, nel Regno Unito. Qui lo Stato ha costruito nell’arco di secoli la nazione sviluppando il concetto di cittadinanza. Nell’Europa orientale è il contrario. Qui si trovano nazioni antiche a cui corrispondono però Stati relativamente recenti.
La nazione, a est, si è sviluppata secondo il modello etno-linguistico tedesco di Kulturnation. La nazione è quindi il fondamento dello Stato e delle sue istituzioni. L’idea europeista occidentale secondo cui l’Unione deve rappresentare un superamento del nazionalismo e una relativizzazione dello Stato nazionale non può essere accolta a Varsavia, a Budapest, a Praga. Non è questione di essere “dalla parte sbagliata della Storia”, o di avere un qualche gene fascistoide, o di essere culturalmente reazionari: significa che, da quella parte d’Europa, hanno un’altra Storia. È l’Europa occidentale che si è unilateralmente dichiarata “post-nazionale”. Quella orientale non ha mai detto di essere d’accordo.
Impero europeo e omogeneità culturale
Il passato d’Europa è un passato imperiale. Ma c’è chi l’impero lo ha subito e chi lo ha imposto. L’Europa occidentale ha dato vita, nei secoli, a imperi globali le cui estensioni si trovavano fuori dal continente, in Africa, nelle Americhe, in Asia. L’eredità degli imperi coloniali britannico, spagnolo, portoghese e francese, è l’immigrazione proveniente dalle ex-colonie. Tali fenomeni migratori hanno contribuito allo sviluppo di società multiculturali del tutto estranee all’esperienza dell’Europa orientale.
Qui gli imperi si sono invece subiti, quello russo, asburgico e ottomano hanno variamente alimentato un’identità nazionale forte e radicata che trova nell’indipendenza e nella sovranità il senso ultimo dello Stato. Il relativo isolamento di quelle società durante il periodo comunista ha prodotto una omogeneità culturale sconosciuta in occidente e spiega, almeno in parte, la resistenza verso i fenomeni migratori in corso.
L’imposizione di quote di redistribuzione dei migranti che giungono in Europa suscita resistenze e timori abilmente cavalcati da classi politiche opportuniste e abili a descrivere l’UE come una nuova forma di impero (persino come una nuova Unione sovietica) il cui fine è schiacciare le identità nazionali locali.
Lo sgretolamento demografico
Alle accuse di neo-colonialismo politico ed economico, i paesi dell’est accompagnano i timori per lo sgretolamento demografico della nazione. Negli ultimi venticinque anni, i paesi dell’est hanno visto un calo demografico medio del 7%. La Bulgaria e la Romania hanno perso un quinto della loro popolazione. Le previsioni parlano di un calo ancora maggiore nei prossimi anni. Le società dell’Europa centro-orientale sono colpite dall’emigrazione. Per questa ragione faticano ad accettare l’idea di accogliere migranti dai paesi in via di sviluppo reclamando, piuttosto, il ritorno dei propri connazionali in patria. Un ritorno reso impossibile dalla mancata convergenza economica.
Un vero muro?
Per quanto le economie centro-orientali siano cresciute, giovandosi largamente dei fondi europei, l’obiettivo della convergenza economica non è stato raggiunto. E questo è un elemento di forte frustrazione per quelle società che ancora vedono i figli emigrare, si tratti di cervelli in fuga o di braccia per l’industria. La frustrazione, il risentimento, e più in generale un diverso approccio all’unificazione europea, sono tra le cause dell’insorgere dei cosiddetti nazional-populismi.
La divisione tra est e ovest europeo è un fatto. Ma che tale divisione debba essere necessariamente una colpa delle società est-europee, è falso. Come è falso affermare che tale solco sia incolmabile. Anzi, la linea di faglia è tutt’altro che netta. L’insorgere del nazional-populismo non riguarda solo Polonia e Ungheria ma anche, e soprattutto, Francia e Italia, Germania e Regno Unito. I fenomeni critici che stanno minando la tenuta dell’UE sono trasversali, a essere differenti sono però le cause. Capirle serve a individuare soluzioni o, almeno, a far cadere quel muro di pregiudizio che media a politica continuano tenacemente a costruire.
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