Una perla nei Balcani, ma la perla è frutto dell’impurità che si deposita nella conchiglia. Questa è la Macedonia, minuscola repubblica dalle grandi contraddizioni, bellezza che si deposita tra le rughe dei vecchi, nelle pieghe delle città, negli accenti delle parole. Accenti diversi di lingue diverse. In Macedonia convivono due comunità, quella albanese e quella slava, oggi di nuovo a scontrarsi per le strade.
Quindici feriti solamente nell’ultimo fine settimana, obiettivi privilegiati gli adolescenti e gli anziani. Sassaiole, pestaggi, tensione sociale che torna ai livelli di guardia in un Paese che nel 2001 ha conosciuto una breve parentesi di guerra civile in seguito alla quale la comunità albanese ha ottenuto maggiori diritti. Gli accordi di Ohrid (Ocrida) promossero una maggiore integrazione sociale.
Ma la calma era apparente.
Ad accendere la miccia della violenza è stata una questione privata. Il 28 novembre scorso un poliziotto macedone ha ucciso con la propria arma d’ordinanza due albanesi. Il fatto, avvenuto a Gostivar, non aveva motivazioni etniche ma personali. Il poliziotto era inoltre fuori dall’orario di servizio. Ma la comunità albanese ha accusato la polizia di essere discriminatoria benché, proprio dal 2001, si sia provveduto a inserire nell’organico anche poliziotti di origine albanese.
Da quel 28 novembre si sono susseguiti episodi di violenza. Una catena, una faida etnica, che ha visto giovani teppisti albanesi malmenare coetanei macedoni e a loro volta i macedoni fare altrettanto. Poi si è passati a colpire gli anziani. La cosa che preoccupa è che lo Stato sembra incapace di agire per fermare le violenze.
All’origine degli scontri c’è però altro. Un malessere sociale che cova nel Paese e che i nazionalisti dell’una e dell’altra parte cavalcano pericolosamente. Al populismo della classe politica, inetta, si associa la frustrazione giovanile. La disoccupazione e la mancanza di prospettive fa dei più giovani una facile preda delle retoriche nazionaliste. La crisi economica greca ha poi avuto dure ripercussioni nella vicina Macedonia. E le prospettive di adesione europea (e quindi di ingresso nel mercato comunitario) sono ridotte al lumicino vista l’ostinazione greca a mantenere il veto a causa di una questione ridicola come la nominazione della repubblica balcanica (oggi ufficialmente Fyrom, poiché Atene rivendica per sé il nome di “Macedonia”).
Un compromesso con la Grecia diventa necessario ora più che mai, e i nazionalisti macedoni dovranno cedere sulla questione del nome per avviare al più presto un percorso d’adesione all’Unione. Il rischio è che sia troppo tardi e che né le istituzioni né la polizia siano più in grado di intervenire per porre fine alle violenze interetniche che, al momento, non sono gravi ma le cui prospettive di peggioramento non possono essere sottovalutate.
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